Primo giorno di scuola: il racconto di una docente

Mi alzo e bevo il caffè come ogni giorno mentre osservo ancora un po’ assonnata lo zaino che contiene il pc, gli adattatori, l’astuccio, l’iPhone e le mascherine. Quest’ultime avrei voluto lasciarle nell’armadio, ma anche quest’anno saranno necessarie. Inutile rifletterci ancora sopra, perciò mi preparo ed esco. 

Ore 7.50, sono in fila davanti all’ingresso della scuola. C’è un po’ di fila. Intorno a me ci sono i colleghi e le colleghe che non vedo da giugno che mi salutano, che ridono, che scherzano come se attendessero con entusiasmo di ricominciare e di farlo in presenza. Tanti, invece, sono i colleghi nuovi ed è verso di loro che ho sempre un occhio di riguardo, soprattutto verso chi entra sul sostegno da graduatoria incrociata: “E’ la mia prima esperienza, non sono specializzata”, mi dice una di loro: “Non importa se sei un docente inclusivo”, rispondo con la speranza che si capisca che l’inclusione è di tutti non solo del docente di sostegno.  

Ore 8.00 sono emozionata come una bambina il primo giorno di scuola, non solo perché per me sarà un anno importante, ma perché i ragazzi che ho davanti ai miei occhi non sono più i bambini che avevo salutato al cancello sotto il sole dei primi di giugno. “Quanto sono belli?”, mi viene spontaneo dire alla collega. Sorride dietro la mascherina senza trovare le parole e mi rendo conto che è emozionata anche lei.

Le ore scorrono tra racconti delle vacanze estive, delle avventure vissute, passioni scoperte e amori perduti. Dopo una fase di rodaggio, si arriva alla domanda clou: “Cosa vi aspettate da questo anno scolastico 2021/2022? Qual è la scuola che vorresti?” 

Non sono più abituati a riflettere con loro stessi e dai loro sguardi sembra che non siano neanche più capaci di sognare, come se l’esperienza della scuola di primo grado vissuta a distanza il primo anno e con la mascherina il secondo avesse tarpato loro le ali della fantasia. Quando li lasci a briglia sciolta, però, qualcosa di magico succede sempre: “Mi piacerebbe tanto fare qualche gita, anche piccola” scrivono, “Mi piacerebbe fare più lezioni all’aperto, magari attività in coppia o di gruppo per non soffermarci troppo sulla teoria”, continuano. “Mi piacerebbe apprendere più cose in classe in modo tale da avere un carico di compiti minore a casa” e “Vorrei non ci fossero più i posti fissi e che potessimo decidere noi ragazzi dove sederci”. 

Non ci sanno forse descrivendo la scuola che la pedagogia, la didattica e la normativa ci chiede di concretizzare? 

Non c’è tempo da perdere: zaino in spalla, ricomincia l’avventura.  

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