Precarietà, un brutto male per la scuola italiana

Nel 2000 le nomine annue, sotto il ministro De Mauro, erano state 183.607; quelle del ministro Moratti l’anno scorso sono state 174.528.

Fra quei supplenti i docenti sono stati 117.084 nel 2000 e 105.049 nel 2002.
Quest’anno, secondo le dichiarazioni del ministro Moratti, dovrebbero essere circa 91 mila. Una stima apparentemente per difetto, basata forse sulla previsione di molti accorpamenti degli spezzoni di cattedra, che conferma comunque il perdurare di una situazione negativa che affligge ormai da anni la scuola italiana.

Non ci riferiamo qui al problema spinoso del conflitto precari-storici/precari sissini, ma alla situazione del rapporto tra docenti annui e docenti in generale.
Un rapporto che rappresenta il poco invidiabile tasso di precarietà della scuola, dove precarietà vuol dire provvisorietà, non garanzia della continuità didattica, e in fondo anche bassa qualità del servizio.

Sei anni fa i docenti annui erano stati 64.100 su un totale di 795.689 docenti in servizio: il “tasso di precarietà” era stato quindi dell’8,06%.
Nei due anni successivi quel tasso aumentò di poco, ma nel 2000-01 fece un balzo in avanti, passando al 14,25% (117.084 docenti annui e 821.804 insegnanti in servizio).
Nel 2001-02 il tasso di precarietà è stato dell’11,6% e l’anno scorso del 12,5% (a causa anche delle mancate nomine in ruolo).

Se i dati dichiarati dal ministro saranno confermati (91 mila docenti annui su 810 mila che saranno in servizio quest’anno) il tasso sarà comunque dell’11,2%; se invece, come stime meno prudenziali fanno ritenere, i docenti in servizio saranno invece 820 mila e i supplenti 111 mila, il tasso di precarietà sarà del 13,5%.

Il settore più precario? Quello della secondaria superiore dove nel 2000-01 il tasso di precarietà è stato del 19,2% (un precario ogni 5 prof in cattedra) e l’anno scorso del 15,2% (un precario ogni 6-7 prof. in cattedra).