Possiamo sperare nei Millennials?

È impegno eminentemente educativo quello cui dedicarsi in prospettiva della formazione di una classe dirigente che, a livello anche europeo, sia in grado di contenere la deriva dei singoli e dei gruppi verso comportamenti tipici del nichilismo o di quello che oggi passa sotto la definizione di populismo. Sulla prima categoria c’è maggiore evidenza; la seconda si presta tuttora a qualche ambiguità interpretativa, anche se si  può convenire che ciò che la caratterizza ha basi sicure nell’inquietudine che da qualche tempo ha preso molti a ragione di fattori  – crisi economica, movimenti migratori, incertezza su ciò che può verificarsi nel futuro – che deludono speranze e aspettative a lungo coltivate e spingono all’indifferenza, all’irriverenza o alla contestazione. Si potrebbe affinare l’analisi di tali presupposti, se ancorassimo la nostra osservazione ad un livello di più approfondito spessore culturale, condividendo l’opinione espressa da Z. Bauman nella sua  “ultima lezione”, nel punto in cui osserva che, non potendo dare alle nostre vite la forma che vorremmo, siamo costretti a vivere una “condizione di costante incertezza”, indubbiamente non priva di rischi per l’uomo, tenuto conto che attesta la “fragilità e l’instabilità del mondo”. Ne abbiamo parlato nel numero di marzo di Tuttoscuola.

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La deriva alla quale assistiamo non viene idoneamente affrontata dall’Europa, così com’è oggi. Le conseguenze si pagano con l’indebolimento delle forme di partecipazione alla vita politica e sociale, e degli istituti della vita democratica.

Il giorno in cui sto scrivendo il testo di queste abituali pagine è il 27 gennaio: giorno dedicato alla memoria dei crimini nazifascisti che hanno insanguinato molte parti dell’Europa nel ventesimo secolo. Sono costretto a chiedermi se le generazioni uscite dagli eventi bellici non abbiano, in verità, fallito nell’opera di accompagnare i figli lungo un percorso di ricostruzione di valori infranti da atrocità sulle quali è caduto, nel difetto di una salda memoria, un vergognoso silenzio.

Può essere che la fragilità che oggi sembra caratterizzare molti dei nostri figli e l’insicurezza nella quale viviamo noi tutti possano trovare origine nel difetto di vigore con cui abbiamo difeso una memoria che andava mantenuta integra? La globalizzazione, le tecnologie e il sogno di un’effimera felicità avranno indubbiamente contribuito a rendere problematico il tutto, ma le classi dirigenti di questo Continente non sono state in grado di promuovere e rendere efficace quella “educazione europea”, della quale ho scritto in altra occasione, e che poteva impedire che i singoli e i gruppi si abbandonassero alla disperazione.

E’ su questa sensazione che sono cresciuti il nichilismo, l’incredulità e l’eversione; è su questa base che hanno trovato alimento l’instabilità e l’insicurezza più legate ad una logica del no che alla volontà di credere che si possa costruire nel segno dell’utopia e della bellezza. Ora siamo costretti ad accusare il rischio che l’edificazione di un’Europa coesa registri lesioni e fratture; che la dimensione di una cultura unitaria non sia più credibile, perché in molti inseguono l’individualismo e il particolarismo e non ascoltano più la lezione dell’unità e di un destino comune.

Come riparare i danni? Abbiamo provato a dare una risposta a questa domanda nel numero di marzo di Tuttoscuola.

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