Polemiche stucchevoli sul costo dei libri di testo

Da quando, alcuni anni fa, si è deciso di fissare un tetto alla spesa delle famiglie per l’acquisto dei libri di testo, fioriscono ogni anno inchieste, denunce, piccoli scoop giornalistici sugli sfondamenti avvenuti qua e là. E’ stato così anche quest’anno, a seguito dell’indagine effettuata dalla rivista specializzata “Altroconsumo” su un campione di scuole. E non sono mancate notizie e proteste sul rincaro di quaderni, agende e zainetti, tanto da indurre importanti enti locali (come il comune di Roma) ad assumere misure di contenimento dei prezzi.
Peraltro l’AIE contesta in radice l’attendibilità dell’indagine condotta da “Altroconsumo”, e parla di aumenti dei prezzi (calcolati sulla totalità dei libri editati) di poco più dell’1%, al di sotto del tasso di inflazione.

Tutto sacrosanto, beninteso, in tempi di vacche magre e di prezzi crescenti (basti pensare a quelli delle case), ma perché accanirsi con i libri di testo per i tutto sommato modesti sfondamenti di tetti – che certo non sono quelli di grattacieli – quando ci sono altre spese non altrettanto calmierate che prosciugano i portafogli dei genitori, dalle magliette griffate alle scarpe e agli occhiali da sole all’ultima moda, alle playstation di nuova generazione, per non dire dei telefonini-che-fanno-le-foto e gli MMS (se no, sono anticaglie per “matusa”), dei pantaloni-a-vita-bassa e magari dei tatuaggi-fatti-come-si-deve, che ovviamente costano di più. Almeno riguardo alle spese per i libri di testo esistono misure di diritto allo studio che vengono in aiuto dei più bisognosi.
Condividiamo in proposito l’opinione di Federico Enriquez, amministratore delegato della casa editrice Zanichelli, che in una lettera pubblicata sulla “Repubblica” dello scorso 7 settembre avrà anche difeso gli interessi degli editori, dei quali è un importante rappresentante, ma ha non una ma cento ragioni quando nota che da noi, a differenza di quanto avviene per esempio in Cina e in altri Paesi emergenti, “la scuola è vista sempre come costo, come noioso adempimento, come spreco di tempo che serve solo ad esercitare il diritto alla promozione, mai come investimento, fattore di sviluppo personale e sociale“. E si chiede se anche in ciò non sia ravvisabile un segno del “declino” del nostro Paese. Buona domanda.