Perché dovremmo chiedere scusa all’alunna bendata durante l’interrogazione in DaD

Accade di nuovo. A una studentessa di 15 anni di seconda liceo, interrogata in tedesco durante la Dad, – come segnalano La Repubblica e Il Corriere del Veneto -, la docente chiede di bendarsi gli occhi. La notizia è rimbalzata prima sulle chat e poi arrivata alla stampa. L’Ufficio scolastico regionale del Veneto ha avviato accertamenti, mentre non si sono fatte attendere le reazioni politiche.

 La nostra società, caratterizzata da complessità ed estrema fluidità è anche stata definita come “Società dell’immagine”[1]. Con l’esplosione della rete riusciamo ad avere, quasi in tempo reale, e con una forza che scritta difficilmente potrebbe sviluppare, notizie che forse mai sarebbero giunte alla ribalta se qualcuno non le avesse immortalate con uno scatto e affidate alla potenza dell’online. Vi immaginate uno qualunque dei quotidiani nazionali che intitola il suo quotidiano: “La prof interroga un’alunna bendata?” La vedo dura. Questa mattina invece tutti i principali siti d’informazione, specialistici o no, ci parlano della prof che in una scuola veneta ha chiesto che un’alunna fosse interrogata con una benda sugli occhi per essere sicura che rispondesse alle domande senza poter guardare le risposte.

Anche se non ci sono legami diretti, questo episodio mi ha fatto venire in mente un’altra triste storia di qualche mese fa, quella del liceo Manzoni di Milano che ha annunciato, per poi ritrattare, che a causa dei pochi spazi a disposizione avrebbe accolto solo studenti con la media del 9 e residenti nelle vicinanze della scuola, cioè in pieno centro.[3] Anche se i due fatti sono diversi per geografia e, anche per storia mi verrebbe da dire, hanno qualcosa che li accomuna e che mi spinge a riflettere. Il filo rosso che tocca la Campania e la Lombardia in questo caso è legato a quale idea di scuola è ancora presente per certi versi in Italia, soprattutto nei Licei. Non nascondiamoci dietro ad un dito: per molti di noi, docenti e genitori, la scuola è ancora il luogo del nozionismo dove si apprendono, a tutti i costi mi verrebbe da dire, informazioni e concetti utili per prendere un bel voto, superare l’esame di Stato, iscriversi all’università. Una logica funzionalista, che Don Milani definirebbe arrivista: “Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. (…) Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. (…) Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere arrivisti a 12 anni.”[4]

Da docente non posso non chiedermi se il problema della scuola attuale sia alimentare questa folle corse verso l’apprendimento di nozioni che mette tutti contro tutti, tant’è che la docente ha paura che l’alunna legga e quindi la benda, o aiutare gli studenti a capire come studiare affinché leggere dai foglietti attaccati al PC sia inutile.

Da studioso di didattica mi chiedo anche se non ci sia un problema didattica se gli insegnanti non sanno fare domande solo sui contenuti, tant’è che gli studenti possano trovare risposta leggendo. Se invece di chiedere il “cosa”, iniziassimo a chiedere il “perché” forse i foglietti non servirebbero. I foglietti poi non avrebbero senso se la scuola avesse chiaro il fine per cui esiste. La scuola, è bene ricordarlo, non serve ad insegnare a leggere, scrivere e far di conto, come dice il vecchio adagio, né a formare i migliori, selezionandoli con voti numerici. La scuola, soprattutto quella del primo ciclo ha un altro obiettivo. Leggiamo cosa ci dicono le indicazioni Nazionali per il Curricolo: “ l’obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri. Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno[5].

Se vogliamo veramente “formare saldamente sul piano cognitivo e culturale” i nostri alunni dobbiamo smettere di considerare la scuola il luogo sacro della trasmissione nozionistica e iniziare a considerare l’istituzione scolastica come la grande occasione che i più svantaggiati, i più deboli ed i più poveri (parola passata di moda, perché ci fa sempre più paura) hanno per diventare i più avvantaggiati nella vita, i più forti nell’affrontarla, i più ricchi di cultura e conoscenza. Smettere dunque di alzare steccati e muri, nei quali fare entrare solo chi ci somiglia, e iniziare a rendere il sistema scuola un luogo, anche virtuale, nel quale gli studenti possano incontrare la realtà e provare a cambiarla. Per fare questo i ragazzi di Barbiana, oltre cinquanta anni fa avevano immaginato una serie di riforme, che vogliamo riproporre oggi:

  1. Non bocciare
  2. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno
  3. Agli svogliati basta dare uno scopo[6]

Proviamo a riportare queste tre semplici riforme ai giorni oggi e diciamo:

  1. Personalizziamo le proposte d’insegnamento e individualizziamo l’apprendimento: il “programma” non esiste da tempo, ci piaccia oppure no;
  2. Smettiamola di usare il tempo per spiegare e interrogare come se non ci fosse alternativa: promuoviamo, anche in questi momenti, attività cooperative, di ricerca, in grado di sviluppare quella che Goleman chiama il quoziente emozionale;
  3. Educhiamo i nostri alunni al fatto che la scuola non è una corsa solitaria dove conta arrivare al traguardo a tutti i costi, ma, al contrario, è un’esperienza di vita in grado di lasciare un segno nelle loro vite. Come le api, impariamo a cooperare, con l’obiettivo di raggiungere un fine comune, invece di fare le cicale, intente a decantare le solite lezioni da anni.

Dalla Lombardia al Veneto, teatri di questi episodi che devono farci riflettere, e poi la piccola realtà di Barbiana, che ancora oggi presenta l’austerità di quando c’era il Priore. Proviamo a ripartire dal messaggio di uguaglianza che questa scuola ha dato all’Italia e al mondo intero e soprattutto cerchiamo di invertire la rotta: se riusciremo a dare uno scopo ai nostri alunni avremo fatto loro il più grande insegnamento possibile, al di là dei voti numerici e delle interrogazioni bendati, avremo cioè mostrato che la scuola è luogo di vita, ma di vita democratica.

 

[1] http://www.paradoxaforum.com/la-societa-dellimmagine/
[3] https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2020/10/24/covid-pochi-spazi-al-manzoni-solo-con-media-del-9_12572c4c-17b4-42a9-a7c7-fbee04f66a33.html
[4] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Pisa, 2017 p24
[5] http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_Definitivo.pdf
[6] Ibidem p80