Pensioni: rinviata la riforma che fa fuggire le insegnanti

Nonostante l’apertura della procedura di infrazione della Commissione europea nei confronti dell’Italia per il mancato adeguamento alle disposizioni pensionistiche UE, per il momento (e forse per qualche anno ancora) nel pubblico impiego le donne potranno continuare ad andare in pensione prima dei loro colleghi uomini.

La decisione di disattendere l’adeguamento voluto dall’Unione (sono ormai dieci anni che l’Italia fa orecchi da mercante) è stata assunta personalmente del presidente del Consiglio che ha “bruciato” sul tempo il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, che stava preparandosi ad adottare il provvedimento richiesto dalla Commissione europea.

Attualmente l’età di vecchiaia per lasciare obbligatoriamente il servizio nel pubblico impiego è, per gli uomini, di 65 anni; per le donne di 60.

Fino a poco più di dieci anni fa anche le donne venivano collocate in pensione per limiti d’età a 65 anni, ma con la riforma pensionistica del 1995 venne riconosciuto loro il diritto a lasciare il servizio a 60 anni alle stesse condizioni del pensionamento di vecchiaia, fruendo in tal modo della pensione anche con anzianità contributiva bassa (almeno 20 anni) e comunque inferiore a quella di chi, volendosene andare prima, doveva avere almeno 35 anni di contribuzione.

La scuola è il settore pubblico dove, a causa della generalizzata presenza femminile, l’uscita per “vecchiaia” al 60.mo anno è diffusa molto più che in altri settori, come ha rilevato l’Inpdap nei giorni scorsi. L’impennata dei pensionamenti nella scuola (41 mila persone dal prossimo settembre) trova la ragione proprio nel timore della riforma voluta dall’Europa, ma, ora, stoppata, dal premier.

Uno stop che forse varrà per l’anno prossimo e che potrebbe evitare un esodo massiccio.

L’età media attuale dei pensionamenti delle dipendenti pubbliche italiane è di 57,2 anni (uomini 58,4), contro la media europea di 59,4.