Pensionamenti nella scuola: un’uscita che poteva essere evitata

Oltre alla demotivazione e all’oggettiva difficoltà dell’essere insegnante, fenomeno comune in molti Paesi, come evidenziato dal rapporto Ocse, quest’anno nel nostro paese si è aggiunta la preoccupazione del cosiddetto “scalone” introdotto dalla legge Maroni che impedisce, dal 1 gennaio 2008, il pensionamento con un’età inferiore ai 60 anni e con meno di 35 anni di contributi.
La prima risposta è stata l’incremento del numero degli insegnanti – quasi 40.000 circa un terzo in più rispetto a quelli dello scorso anno – che ha deciso di lasciare la scuola, e non sempre per libera convinzione.
Un fenomeno che poteva essere evitato o almeno fortemente contenuto. E’ quanto emerso dal Convegno “Pensioni oggi e domani” che la Confsal ha tenuto il 22 febbraio scorso a Roma, dove, dati e proiezioni alla mano, si è dimostrato che la precedente legge Dini già assicurava la sostenibilità, generazionale e finanziaria, del sistema previdenziale. Piuttosto, ha affermato Achille Massenti, segretario della Ferderpensionati-Confsal, è necessario combattere il lavoro sommerso, che incide sull’entrata previdenziale, rimediare al grave ritardo nella costituzione della previdenza complementare, che è stata attivata solamente per il comparto scuola con il Fondo Espero, e intervenire per “separare” la spesa previdenziale da quella assistenziale.
Il tema del precariato, che penalizza soprattutto i giovani, come è stato riconosciuto dal sottosegretario al ministero dell’economia e delle finanze, Mario Lettieri, è stato rilanciato dal segretario della Confsal, Marco Nigi, che ha annunciato lo stato di agitazione anche per un sistema previdenziale più equo e per il rinnovo dei contratti.
Questioni che interessano la scuola che attende, da più di un anno, il rinnovo del contratto e che si aspetta le nomine concrete dopo le lettere del ministro Fioroni al suo collega Padoa Schioppa, custode delle compatibilità finanziarie. Ritardi che potrebbero crescere per la crisi di governo.