Fa discutere la sortita del ministro dell’istruzione Stefania Giannini sulle scuole paritarie (“Se in Italia le scuole non statali dovessero chiudere tutte insieme domani mattina, lo Stato dovrebbe mettere sul piatto 6 miliardi di euro”), effettuata in occasione del convegno promosso dalla associazione TreeLLLe a Roma lo scorso 25 giugno.

L’argomentazione è la stessa messa in campo dalle organizzazioni rappresentative delle scuole paritarie, soprattutto cattoliche, ma è la prima volta che un ministro in carica la fa propria: non ci avevano provato né il centro-sinistra di Luigi Berlinguer (che però a questo convegno, nel quale è intervenuto, è sembrato più ‘aperturista’) e Beppe Fioroni, né il centro-destra di Letizia Moratti e Mariastella Gelmini, pur sulla carta favorevoli al finanziamento delle scuole paritarie, che avevano trovato nel ministro dell’economia Tremonti un ostacolo insormontabile.

Stanno maturando le condizioni per un ripensamento trasversale in materia? Considerate le parole della Giannini, vista la presa di posizione di Berlinguer (“La libertà di educazione è un diritto, non una concessione dello Stato”) e il sostegno della Centemero, responsabile scuola di Forza Italia, all’ipotesi di applicare il costo standard a tutta l’offerta formativa pubblica, statale e paritaria, sembrerebbe di sì.

Tuttavia, a parte le obiezioni sul calcolo dei ‘risparmi’ per lo Stato che deriverebbero dall’esistenza stessa delle scuole paritarie (assai meno dei 6 miliardi evocati anche dalla Giannini, secondo l’intervento di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, pubblicato venerdì scorso da tuttoscuola.com), le resistenze a una vera svolta in materia – politiche, sindacali, giurisdizionali – appaiono difficilmente superabili. Per questo, per evitare una nuova edizione dell’eterna querelle, muro contro muro, sull’interpretazione dell’art. 33 comma tre della Costituzione (“senza oneri per lo Stato”), prende forma l’ipotesi di una sperimentazione. Se ne parla nella news successiva.