Paritarie: il costo standard ‘premessa applicativa’ o conseguenza di una decisione politica mai presa? Il botta e risposta con la redazione

Sull’articolo di Orazio Niceforo dedicato alla “lunga marcia delle scuole paritarie” verso il riconoscimento della parità economica, oltre che giuridica, riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’intervento del prof. Giuseppe Richiedei, al quale l’autore dell’articolo risponde precisando ulteriormente il proprio punto di vista.

Gent.mi,  nella lunga marcia, guidata da Suor Anna, il costo standard non è più inteso come decisione unica ed esaustiva del Parlamento, del Governo o del Ministro, ma come una “premessa applicativa” di riferimento economico – culturale per una serie di interventi convergenti da parte dello Stato, delle Regioni, dei Comuni degli ENTI privati, pubblici e religiosi di cultura e assistenza.

Il costo standard, definito dallo stesso MEF (2012) diventa, purtroppo, in Italia la “quota capitaria” a carico delle famiglie e degli allievi, mentre in tutti i Paesi democratici avanzati è inteso come il riferimento delle istituzioni per interventi che portino al suo azzeramento, in coerenza con il diritto universale della “libertà educativa delle famiglie”.

La nostra richiesta è che la Repubblica tutta rimuova l’ostacolo delle rette che si configura come una vera e propria discriminazione inaccettabile nei riguardi delle famiglie meno abbienti (art 2,3,30 della Costituzione).

In questa impostazione giuridico – culturale non hanno più fondamento la contrapposizione tra convenzioni o detrazioni, ma tutte devono convergere all’abbattimento delle rette.

Infatti se le famiglie pagassero una quota corrispondente al costo standard sarebbero coperte tutti i costi per una buona scuola paritaria. Quindi ogni contributo aggiuntivo per detrazione o convenzione o liberalità non può più essere a beneficio a fondo perduto alla scuola, ma essere destinato ad abbattere il costo standard.

Le scuole con rette più elevate del costo standard potrebbero sussistere solo se la quota eccedente il costo standard fosse volontaria e non fosse motivo per escludere la famiglia meno abbiente dalla frequenza.

Esattamente come avviene nelle statali con i contributi volontari per attività integrative.

Sempre grati per l’attenzione e disponibile ad un confronto costruttivo e proficuo per tutta la scuola statale e paritaria.

Distinti saluti.
Giuseppe Richiedei

La risposta 

Caro Richiedei,
a mio parere se le cose stessero come dice lei – che il costo standard sia una “premessa applicativa” a qualunque decisione successiva (convenzioni, detrazioni ecc.) – non si spiegherebbe come mai la questione del finanziamento delle scuole paritarie sia rimasta per tanto tempo irrisolta sia prima che dopo l’approvazione della legge n. 62/2000.

Il fatto è che l’introduzione del costo standard come parametro di spesa universale non può essere considerata come una premessa, ma sarebbe la conseguenza di una decisione politica che non è stata ancora presa. Inoltre, stando alla Costituzione da lei citata (artt. 2,3,30, ai quali vanno aggiunti il 33 e il 34), va tenuto presente che mentre per lo Stato quello di “istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi” è un obbligo, per gli Enti e privati quello di “istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” è un “diritto” al quale non corrisponde un contestuale finanziamento.

Com’è noto i proponenti dell’emendamento aggiuntivo “senza oneri per lo Stato”, Corbino (liberale) e Codignola (socialista) spiegarono che con questa espressione non si intendeva vietare allo Stato di finanziare le scuole non statali paritarie, ma solo escludere che esso fosse automaticamente tenuto a farlo. “Un conto è una facoltà un conto è un obbligo”, dissero.

Dopo l’entrata in vigore della Costituzione la DC scelse di abbandonare il progetto Gonella-Gozzer di forte autonomia di tutte le scuole (statali e non), che forse avrebbe consentito un finanziamento selettivo delle scuole non statali, preferendo gestire in regime di semi-monopolio il modello statalista, centralizzato e burocratico, sistematizzato da Giovanni Gentile nel 1923 ma frutto della estensione a tutto il neonato Regno d’Italia della riforma Casati (1859) esplicitamente ispirata al modello francese, accentrato, statalista e laico (la superlaica legge Ferry è del 1882). In cambio dopo il 1949 la DC concesse alle sinistre (PCI e PSI, ma anche al PRI di Ugo La Malfa, ex azionista) una interpretazione totalmente restrittiva della locuzione “senza oneri per lo Stato”.

La legge 62/2000 sulla parità, voluta dal ministro Luigi Berlinguer, ha mantenuto l’ambivalenza della Costituzione in materia, perché ha riconosciuto alle scuole paritarie la parità giuridica ma non quella economica (un caso di doppiezza di scuola togliattiana). La parità economica, a mio giudizio, non può che essere decisa da una nuova legge che vada oltre la 62 e dia del “senza oneri” un’interpretazione esplicitamente corrispondente a quella possibilista dei suoi proponenti: lo si può fare in vari modi, adottando il costo standard oppure altre modalità di intervento (convenzioni, buono studio, detrazioni) o un mix di esse. In ogni caso serve una decisione politica, che sarebbe la vera “premessa applicativa” delle diverse misure, compresa l’utilizzazione del costo standard come parametro di riferimento, volte ad affrontare finalmente la vexata quaestio della interpretazione autentica dell’art. 33.

Un cordiale saluto
Orazio Niceforo