Pachiderma liquido scolastico: i 10 aspetti che lo contraddistinguono

In un recente volume[1] ho descritto la scuola come pachiderma liquido, vale a dire come un moloch che da una parte sembra avere caratteri decisamente inossidabili, mentre dall’altra scopriamo una fluidità che arriva all’inconsistenza. Proviamo a elencare brevemente i 10  aspetti di questo animale atipico .

1. La piattezza organizzativa

Basta prendere i dati dell’ARAN del 2021, l’Agenzia nazionale che si occupa del pubblico impiego. Nei ministeri abbiamo 1 dirigente per 40 non dirigenti, nelle regioni e negli enti locali il rapporto è di 1 a 72.  Ma nella scuola c’è 1 dirigente per 160 unità di personale, che scende a 125 se si considerano i soli docenti. Non di rado, però, a questo stesso dirigente è assegnata la “reggenza” di un altro istituto e allora il personale raddoppia. Il punto è che il sistema non prevede middle management, vale a dire docenti che ricoprono per carriera funzioni intermedie. Così il dirigente è il tipico uomo solo al comando che rischia sempre di centralizzare decisioni e poteri, ma anche di vivere in una drammatica solitudine. Ecco il primo aspetto del nostro pachiderma davvero liquido!

2. Il professionista autosufficiente

Michael Fullan, esperto di leadership educativa dell’ OCSE, una volta dichiarò che la storia della professione dell’insegnante è fondata sull’autonomia della classe, e stare in classe significa due cose: che si ha la licenza di essere creativi e che si ha la licenza di essere inefficaci. Se sei però creativo e isolato, le tue idee non circolano  e se sei inefficace non te ne rendi conto e comunque non chiedi aiuto. Il nostro sistema nei fatti non promuove la collaborazione tra docenti.  Non solo, ma l’introduzione della parola “plesso” (la sede o l’indirizzo) ha svilito l’importanza, direi fondamentale, della scuola concreta come comunità di persone. Dominano nella prassi e nella politica scolastica le due polarità: l’istituto o la classe. Invece è la scuola la vera unità di base, vale a dire quell’edificio dove per buona parte del giorno vanno a “lavorare”  insegnanti e alunni. Quello è il mondo vitale, la comunità.  È lì dove possono prosperare le relazioni positive. Insomma anche qui, liquidità e pachiderma all’insegna della burocrazia.

3. Il grande turnover

Si stima al 25/30%. Questo comporta due conseguenze negative. Si pensi ad un collegio docenti di 180 insegnati nel quale all’inizio dell’anno vengono a far parte, per la prima volta, dai 45 ai 54 nuovi colleghi. Questi ultimi dovrebbero partecipare consapevolmente alla prima seduta di questo fondamentale organismo che, tra l’altro, ha compiti di elezione dei responsabili, dei collaboratori, degli incaricati e della definizione dell’offerta formativa. Ecco, quei 45/54 novizi, senza molte informazioni, potrebbero paradossalmente dare una svolta all’indirizzo di quell’istituto. Ma d’altra parte abbiamo anche il turnover dei dirigenti e con le accluse  “reggenze” di cui dicevo al numero 1.  Ovviamente non mi sto a soffermare su quanto tutto ciò, ed è il secondo punto, possa pesare sulla qualità dell’insegnamento e sulla  continuità didattica, con l’allegato disagio del percorso formativo degli studenti. Qui emerge con tutta forza quella moderna liquidità di cui ci ha parlato Zygmunt Bauman.

4. La ridondanza di progetti, obiettivi, adempimenti

Un autorevole personaggio purtroppo scomparso, l’ispettore Giancarlo Cerini, già all’indomani della legge sull’autonomia degli istituti scolastici nel 2002, parlava del rischio “progettificio”. Gli istituti sono oberati da una miriade di progetti spesso tra di loro sconnessi, con oggi l’aggravio del PNRR. Non basta. Facciamo solo il conto degli obiettivi previsti a livello nazionale alla fine della terza media: si arriva a 216. E che dire delle tante materie da somministrare ai bambini e alle bambine, alle ragazze e ai ragazzi?  Erano 12, 13 con l’arrivo dell’educazione civica da proporre già agli alunni di 1a elementare. Altro che le competenze essenziali! Non entriamo poi, per carità, nell’affastellamento amministrativo e organizzativo che intasa gli uffici degli istituti: ci basti dire che la didattica pesante e l’amministrazione pletorica vanno a braccetto. Il pachiderma che fa sentire il suo barrito.

5. La schizofrenia tra merito e responsabilità

Ricordo che i sistemi scolastici, bene o male, devono ascrivere meriti agli studenti, con la valutazione e il passaggio alla classe successiva. Tuttavia la valutazione non è prevista per chi insegna. D’altra parte ai docenti, il cui merito appunto non è riconosciuto, devono assumersi la responsabilità della crescita dei propri allievi. Ma agli studenti, e in particolare ai meritevoli, non è chiesto  di mettersi a disposizione della crescita dei compagni, anche dei più piccoli: la peer education curerebbe le relazioni e sarebbe efficace per l’apprendimento. Il punto che non capiamo è che il merito funziona solo collegato alla responsabilità:  lo dice, udite udite, la nostra Costituzione. Dunque merito per gli studenti ma anche una chiamata alla responsabilità, così come responsabilità per i docenti ma anche riconoscimento del merito (che si tramuta anche in una carriera). Lasciando così le cose non facciamo altro che dare spago all’individualismo imperante. Indubbiamente questa schizofrenia è foriera di liquidità.

6. La femminilizzazione 

Il nostro è il sistema più femminilizzato d’Europa. I dati del 2017 dicono che nella scuola di base il 91% dei docenti è donna.  Perché i maschi evitano la scuola e in generale i settori educativi e della cura? Nel sito della Federazione Nazionale Ordini Infermieristici si dice che è donna  il 77% di chi svolge tali professioni e per di più con pochi incarichi di responsabilità. Certo, facciamo pure l’educazione di genere, proponiamo percorsi sulle relazioni. Ma perché non attiviamo dei percorsi orientativi, come avviene in Irlanda, per i maschietti che dicano della bellezza e dell’importanza delle professioni della cura e di quelle educative?  Non sarebbe la strada maestra per cambiare la mentalità maschilista? Su questo aspetto il pachiderma e la liquidità si intrecciano strettamente.

7. La didattica astratta e virtuale

John Dewey all’inizio del ‘900 criticava l’astrattezza della scuola e della sua didattica. Una conoscenza svincolata dal mondo, dalle cose, dal concreto: questa è la scuola idealistica di oggi. Ad essa abbiamo aggiunto il virtuale e la necessità della transizione digitale come nuovo scenario impellente. Certo l’astratto e il virtuale vanno tenuti, non ci sono dubbi!  Ma se ci fermiamo lì i problemi saranno grossi.  Dov’è il corpo? C’è un posto per la mano? Emozionano le materie di studio? Hanno rilevanza i rapporti faccia a faccia? La didattica è solo internet e libri di testo o c’è dell’altro, oltre l’astrattezza e la virtualità? Nel libro Il Game Baricco ci mette in guardia dal fatto di non considerare i cambiamenti in corso. La liquidità sta facendo troppo strada.

8. Il bastone e la carota

La vexata quaestio della valutazione. Ancora oggi il voto, nella sua poco edificante veste numerica, viene usato come principale motore motivazionale. Ti do 5 e anche se ti meriti 6, altrimenti ti culli sugli allori… Ecco un bell’8 tuttavia sarebbe un  7, ma voglio incoraggiarti… Mi dispiace ho fatto il conto degli errori e devo mettere un 4…  Che pesantezza! Non riusciamo a focalizzarci sulla valutazione formativa, che non è facilitare la vita agli studenti (ci mancherebbe!).  È dare semplicemente un significato all’impegno, alla necessaria fatica con tanto di sudore, perché alla fine loro possano capire che c’è un grande guadagno personale. Ci sono tante aziende del privato che non incentivano più le persone con questi sistemi primitivi: hanno visto che non funzionano. C’era arrivata, non ieri, Maria Montessori. Ma la scuola è ancora lì, pachidermica.

9. La densità della popolazione

Da sempre faccio questi calcoli. È sufficiente considerare un’aula di 47,45 m2 (superficie già ampia per i nostri standard)  dove stanno 26 persone ciascuna con a disposizione 1,8 m2. In un locale delle medesime dimensioni, magari adibito ad ufficio di segreteria, 4/5 impiegati avranno 11,8/9,5 m2 pro capite: il rapporto è 1 a 10 a sfavore degli studenti. Un grande sociologo francese, Emile Durkheim, metteva in relazione la densità della popolazione in spazi urbani sempre più ristretti, con il sopravvenire dei conflitti, anche a causa della tendenza sociale uniformante. Ma abbiamo considerato come il combinato disposto di didattica standardizzata e spazi ristretti oltretutto male allestiti possa essere una causa dell’agitazione nelle nostre classi? Dov’è il terzo educatore di Loris Malaguzzi? E l’insegnamento differenziato non potrebbe essere la strada da percorrere con ricadute per l’inclusione di tutti? Al momento, però, è la visione pachidermica a spadroneggiare.

10. Il carattere avvolgente 

Uno non ci crederebbe, ma un docente e anche un dirigente, stazionano a scuola – considerando che all’università lo scenario è lo stesso – per 63-64 anni. Poi arriva la pensione. Sì, perché inizia con la scuola dell’infanzia a 3 anni, permanendo a scuola per circa 25 – 30 anni. Un lungo lasso di tempo dove fa l’esperienza del nostro pachiderma liquido, che  entra – come dire – nella carne e nell’intimo, proprio quando il cervello è più plastico, nella gioventù. Poi l’alunno diventato docente, cambia solo posizione, dal banco alla cattedra (o all’ufficio di presidenza).  Ma l’ambiente è sempre quello… Tanti anni dentro la solita organizzazione! Non ci sono eguali da altre parti. Un medico potrà stare in formazione per 25/30 anni, ma poi cambia prospettiva ed entra  in ospedale standoci 37 – 40 anni. Già, ma i  docenti che devono preparare gli studenti al mondo là fuori, stanno però sempre là dentro. Mi pare un paradosso:  un problema che sfugge ai più. Possiamo trovare degli aggiustamenti? In che modo far fronte a questo aspetto pachidermico?

Per fortuna c’è un paradigma che ci può illuminare.  L’ho introdotto di recente, ed è quello della leadership leggera. Ci aiuterebbe per trovare un diverso management scolastico e per  inaugurare una didattica davvero di qualità e non di quantità. Potremo così allentare le tante pesantezze illustrate nei 10 punti. Qui il nostro Italo Calvino ci può ispirare. Ecco cosa diceva nel 1985 proprio sulla leggerezza “… la mia operazione è stata una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio […]. Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio”. E noi con Calvino abbiamo tolto lo zaino, per volare come Perseo e sognare una scuola migliore.

[1] Il volume è intitolato Uno Zaino troppo pesante per una scuola ecologica e leggera edito da Maggioli nel 2021.

*ideatore delle scuole Senza Zaino e docente al master sulla Leadership Leggera Scuola di Alti Studi di Lucca –  20.12.2023

© RIPRODUZIONE RISERVATA