Organi Collegiali dopo 50 anni: serve un semplice lifting o una vera e propria riforma?

Gli organi collegiali scolastici sono un fenomeno unico nella normativa italiana, un’anomalia che ha resistito per cinquant’anni a rapidi cambiamenti sociali e a un’incessante frenesia di riforme scolastiche, riforme che hanno introdotto nuove figure professionali e nuove organizzazioni didattiche. Gli organi collegiali scolastici sono nati in Italia con i Decreti Delegati del 1974, segnando un momento di svolta nella storia dell’istruzione. L’obiettivo era rivoluzionario per l’epoca: democratizzare la scuola e farla diventare una vera e propria comunità, dove le decisioni non fossero prese unicamente dall’alto, ma attraverso la partecipazione di tutte le sue componenti: docenti, genitori, studenti e personale ATA. Questa struttura mirava a rendere la gestione scolastica più trasparente e condivisa. Nonostante le numerose occasioni mancate tra il 1993 e il 2015, le norme del 1974 che li hanno istituiti sono rimaste intatte e sono state trascritte senza mutamenti nel Testo Unico delle norme dell’istruzione. A riprova di questa resistenza al cambiamento, persino nell’ultimo aggiornamento del giugno 2024, il dirigente scolastico è ancora definito con le figure obsolete di Direttore didattico/Preside, che non esistono più.

La loro architettura si articola su due livelli principali. A livello di base, per ogni classe o sezione, esistono organi specifici che si occupano della quotidianità didattica e relazionale. Troviamo il Consiglio di Classe nella scuola secondaria, composto dai docenti, dai rappresentanti dei genitori e degli studenti (nelle superiori). Similmente, nella scuola primaria esiste il Consiglio di Interclasse, mentre nella scuola dell’infanzia è il Consiglio di Intersezione. Questi organismi hanno il compito fondamentale di discutere e deliberare la programmazione didattica, di valutare gli studenti e di affrontare eventuali problematiche. Salendo di livello, a gestire le sorti dell’intero istituto sono il Collegio dei Docenti e il Consiglio d’Istituto. Il primo, composto da tutti gli insegnanti, ha il compito di definire le linee guida generali dell’offerta formativa, i criteri di valutazione e i progetti educativi. Il secondo, invece, rappresenta l’organo di governo più esteso, includendo rappresentanti di tutte le componenti scolastiche. La sua funzione è di natura politico-amministrativa: approva il bilancio, il piano dell’offerta formativa triennale (PTOF) e il regolamento interno della scuola. Sebbene il DPR 416/74 motivasse l’istituzione di questi organi come “partecipazione alla gestione della scuola”, fin da subito si è palesata la frizione tra i nuovi organi “democratici” e una struttura verticistica rimasta immutata.

Oggi, la domanda sulla loro efficacia è la più urgente, dato che la “passione partecipativa” che animò gli anni Settanta sembra essersi esaurita. Il dibattito sulla loro riforma si accende solo quando ci sono proposte legislative, e spesso si arena a causa della mancanza di una visione comune, con le varie componenti che si concentrano sui propri interessi specifici. La riforma del 1999 (Legge Bassanini) ha rafforzato il ruolo del dirigente scolastico, conferendogli maggiori poteri gestionali e decisionali, e creando un potenziale conflitto tra le nuove prerogative dirigenziali e la persistenza di un esercizio di gestione improprio da parte del Presidente del Consiglio d’Istituto, che è un genitore. A ciò si aggiunge la sensazione, spesso fondata, di incompetenza dei genitori su argomenti tecnico-giuridici. Per quanto riguarda i Consigli di intersezione, interclasse e classe, il dirigente scolastico Umberto Savini, li ritiene pleonastici, dato che la riunione aperta ai genitori può solo “formulare proposte” e non deliberare, facendo sentire i genitori poco ascoltati, per non dire inutili. Anche l’Assemblea dei genitori, pur prevista dalla normativa, è di fatto un organo inapplicato e inutile. (1) Nel corso degli anni, per complicare ulteriormente il quadro, è stato tolto anche il distretto scolastico, un ulteriore organismo di raccordo territoriale che ha modificato l’assetto di governance. Eppure, sarebbe un errore considerare gli organi collegiali un retaggio del passato. Essi rimangono un presidio democratico insostituibile. In un sistema in cui l’autonomia scolastica è sempre più accentuata e il ruolo del dirigente più forte, sono l’unica sede formale in cui le diverse voci possono confrontarsi e trovare un punto di sintesi. In questo contesto, il pensiero di Giancarlo Cerini, maestro, ispettore, uomo delle istituzioni, pedagogista errante, esperto di politiche scolastiche, ci offre ancora una volta una prospettiva concreta per il futuro. Cerini ha proposto una riforma che non mira a eliminare gli organi collegiali, ma a renderli più funzionali.

La sua visione si fonda sulla semplificazione delle strutture, accorpando gli organi meno efficaci per renderli più snelli, e sul potenziamento dell’autonomia decisionale dei consigli di classe e d’istituto, per renderli più incisivi. Ha inoltre sottolineato l’importanza di una maggiore partecipazione di genitori e studenti, anche attraverso la digitalizzazione, per semplificare la comunicazione e la gestione. Il suo pensiero, a distanza di anni, mette in luce l’esigenza di un migliore coordinamento tra i diversi livelli, con l’obiettivo di chiarire le responsabilità e le competenze di ciascun attore, salvaguardando la centralità del Collegio dei Docenti nelle scelte educative. Savini, in particolare, suggerisce di re-immaginare il Consiglio di classe come “Assemblea di classe”, coinvolgendo tutti i genitori in una logica di corresponsabilizzazione educativa.  Sottolinea inoltre che i Comitati dei genitori, un tempo visti come un’espressione di cittadinanza attiva, potrebbero essere rivitalizzati come risorsa per creare un ponte tra il “dentro” e il “fuori” della scuola, facilitando i contatti con il territorio, le associazioni e le imprese. Tale collaborazione sarebbe essenziale affinché la scuola possa sentirsi radicata nel suo contesto, incrementando la sua immagine e credibilità. La loro vitalità, oggi più che mai, dipende dalla volontà di trasformarli da puri adempimenti formali a spazi di reale partecipazione, un processo che può avere inizio solo con la forza di un “prolifico immaginario istituente”. Questo approccio dimostra come una riforma, ispirata a questi principi, potrebbe revitalizzare il ruolo degli organi collegiali, trasformandoli da adempimenti formali a spazi di reale partecipazione attiva, capaci di innalzare la qualità dell’istruzione e di rafforzare il senso di comunità scolastica.

 

(1)Capitolo n 4. “Organi collegiali: 50 non sempre è una bella età” di Umberto Savini (da pag. 106 a pag. 113) del testo a cura di Nicola Serio dal titolo “Scritture e confronti – Incontri Itineranti nelle scuole”, pubblicato da Armando Editore Roma, 2025

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