Miopie: no Euro, no TAV, no Vax, no DaD…

Che cosa accomuna i movimenti “no qualcosa” che hanno punteggiato la stagione del populismo, non solo italiano, negli ultimi dieci anni? Sono state avanzate varie ipotesi, anche suggestive, per spiegare la radicalità di questi rifiuti, dal ruolo nefasto delle fake news veicolate dai social al vittimismo diffuso, dalla caduta del ‘sacro’ alle teorie cospirazioniste. Ma l’elemento che troviamo invariabilmente in ciascuna di esse è il rifiuto del nuovo, la miopia di chi non riesce a guardare lontano, il misoneismo.

Il fenomeno ha origini antiche, tanto che il termine misoneismo (“odio del nuovo”) risale alla cultura classica greca, e si è manifestato più volte nella storia, in ambiti e luoghi diversi, ma mai come nel mondo globalizzato e internettizzato di oggi ha potuto assumere le dimensioni di massa che ha ora raggiunto, aiutato dalla diffusione planetaria dei social con il loro linguaggio ipersemplificato e fatto più dei no di chi protesta che dei sì di chi propone.

Dal punto di vista politico il misoneismo ha avuto in questi anni i suoi interpreti, quasi sempre in chiave neonazionalista, dal Trump dell’America first e del MAGA (Make America Great Again) alle destre europee, divise tra di loro ma unite nell’ostilità all’Unione europea, o più esattamente all’idea di un’Europa forte, autonoma e federale come l’avrebbe voluta Altiero Spinelli. In Italia, oltre che dal sovranismo un po’ rozzo della Lega in versione Salvini (che non è comunque la stessa di Giorgetti o Zaia), l’odio per il nuovo e la filosofia del “no” sono stati bene interpretati dal Movimento 5 Stelle delle origini, quello del “vaffa” e dell’opposizione frontale all’Alta velocità (no TAV), al gasdotto trans-adriatico (no TAP), alla democrazia rappresentativa (“uno vale uno”). Tutti “no” che si sono scontrati con l’esigenza di governare e che sono stati in vario modo mediati da Giuseppe Conte, salvo (finora) che sulle riforme “bandiera” come il Reddito di cittadinanza e, in parte, la riforma della giustizia targata Bonafede.

Alla categoria del rifiuto del nuovo appartengono anche i diversi gruppi ostili alla vaccinazione anti-Covid 19 – riuniti sotto la sigla “no Vax” – vissuta da alcuni (per fortuna sempre meno) come una manovra autoritaria ordita da oscuri poteri economico-politici. Anche in questo caso si tratta di misoneismo, sotto forma di ostilità alla scienza e al progresso tecnologico.

A mio avviso anche l’opposizione di principio – quasi una guerra santa – alla Didattica a Distanza (DaD) può essere ricondotta alla stessa matrice misoneista. Coloro che si sono battuti con più fervore contro la DaD, da Asor Rosa a Paolo Crepet al movimento “Priorità alla Scuola”, hanno optato, magari senza rendersene ben conto, per il ritorno della (o alla) scuola in presenza pre-Covid 19: selettiva, classista, monomediale, centrata sull’insegnamento e non sull’apprendimento. Purtroppo anche i media, in questo caso soprattutto i quotidiani e le TV generaliste, hanno dato spazio alla quasi criminalizzazione della DaD avvalendosi in modo superficiale dei dati Invalsi 2021, presentati come la conseguenza della DaD e non di un modello di scuola strutturalmente antiquato e iniquo, che nella gran parte dei casi è stato malamente riprodotto da una DaD improvvisata.

Nei casi in cui la DaD ha funzionato a dovere, non come semplice surrogato tecnologico della didattica in presenza ma come alternativa didattica alla scuola tradizionale, i risultati, per quel poco che se ne sa, si sono ben visti, e sarebbe interessante avere un rapporto Invalsi o Indire che analizzi le buone pratiche realizzate. Dietro il “no DaD” si nasconde in molti casi (speriamo in diminuzione, come sta avvenendo per il “no Vax”) la diffidenza verso le innovazioni di tipo didattico che l’avvento dell’infosfera (copyright di Luciano Floridi) comporta necessariamente nell’educazione delle nuove generazioni, che non può che essere multimediale, personalizzata e costruita a partire dal soggetto che apprende, prevalentemente (ma non esclusivamente) in presenza da 0 a 18 anni ma anche e sempre più a distanza, con quel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento individuali che la DaD e l’on line possono certamente favorire. Presenza e distanza (o più ampiamente le nuove tecnologie online e offline) non vanno pensati perciò in alternativa, ma in sinergia. E al servizio di una nuova didattica, equa e inclusiva.

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