Ministra? Si può

Prima che arrivasse a viale Trastevere l’on. Mariastella Gelmini, si erano succedute prima di lei a capo del ministero tre donne: Franca Falcucci, Rosa Russo Jervolino e Letizia Moratti.

Tutte e tre venivano chiamate rigorosamente “on. ministro”, utilizzando sempre il sostantivo maschile che individuava la loro carica, nonostante fossero donne.

La prima eccezione è venuta con l’on. Gelmini che dall’opposizione, in modo spregiativo, è stata più volte chiamata “ministra”: non una forma di emancipazione lessicale, ma piuttosto un tentativo di screditarla nel ruolo di responsabile del dicastero per l’istruzione.

Poi è venuto il Capo dello Stato che alcuni giorni fa, in occasione dell’insediamento del direttivo della scuola superiore della magistratura al CSM, rivolgendosi a Paola Severino, membro del governo Monti alla Giustizia, ha affermato che “il ministro non mancherà di promuovere il confronto costruttivo tra amministrazione della giustizia e magistratura”. Ma a quel punto il presidente della Repubblica si è fermato e con un sorriso rivolto a Severino ha detto: “Anzi, mi correggo. “Che la ministra non mancherà di promuovere”.

Ministra, se donna, ministro, se uomo. Si tratta di una piccola rivoluzione lessicale sulla strada delle pari opportunità che potrà avere altre conseguenze in diversi campi della società.

In campo scolastico, dove il gentil sesso sta incrementando la propria presenza in tutte le funzioni, si potrà (o dovrà) parlare, ad esempio, di direttrice didattica (prima che le direzioni didattiche vengano soppresse), di direttrice dei servizi generali e amministrativi (DSGA), di dirigente scolastica. A livelli più elevati sarà corretto parlare di sottosegretaria (se nei prossimi giorni arriverà a Trastevere o in altri ministeri una donna), di magistrata?