
Melania Areopagita: ‘Introdurre la danza come attività extrascolastica può dare molti frutti’

Di Sara Morandi
La danza, in quanto arte che unisce spazio e tempo, ha da sempre affascinato e ispirato molte persone. Per la Maestra Melania Aeropagita, la prima scintilla è stata la musica. Da bambina, mentre studiava pianoforte, percepiva nel suono una naturale transizione verso il movimento, portandola così ad intraprendere lo studio della danza. La sua visione della danza è quella di un’arte narrativa, dove la bellezza risiede nel cambiamento e nella sincronia dei movimenti, influenzata dall’energia e dal ritmo piuttosto che dalla mera plasticità del corpo. Nel contesto educativo, Aeropagita vede la danza come un’opportunità per arricchire l’esperienza formativa dei giovani. Sebbene non ritenga necessaria una sua introduzione strutturale nel percorso scolastico, riconosce il valore delle attività extrascolastiche che promuovono l’educazione al movimento. Queste attività possono migliorare la motivazione e l’esperienza formativa, offrendo ai giovani la possibilità di esplorare la danza come parte integrante della loro crescita personale e creativa.
Maestra Aeropagita, qual è stata la Sua prima ispirazione nel mondo della danza e come ha influenzato il Suo percorso?
“La danza è contemporaneamente un’arte dello spazio e del tempo, per cui può essere ispirata dalla plasticità del corpo, da un’immagine di bellezza, così come dal suono, dal ritmo. Io appartengo certamente a coloro che si sono lasciati ispirare dalla musica. Da bambina studiavo pianoforte e mi accorgevo che per me il suono aveva sempre una traduzione nel movimento, così ho iniziato a studiare danza. E la danza ha continuato ad essere per me sincronia dei movimenti, bellezza legata alla perfezione del coordinamento del corpo che si muove nel tempo. Questa cosa ha condizionato soprattutto la selezione degli stili coreografici con cui mi sono formata e dei modelli. Esistono danzatrici e danzatori che prediligono la temporalità del movimento e coreografi che preferiscono la bellezza sincronica alla plasticità dei corpi. Barysnikov è stato un ballerino ritmico, ad esempio, di pura energia, e lo erano le coreografie di Roland Petit. Bolle, al contrario, appare più fortemente ispirato dalla plasticità del corpo. Io traggo ispirazione dall’energia e quindi dal movimento che dissipa il suo sforzo nel tempo, che fa muovere i corpi e li modifica. La danza a cui sono più legata è, in un certo senso, narrativa, trae la sua bellezza dal cambiamento”.
In che modo la danza può essere utilizzata come mezzo di espressione personale per i giovani?
“Avendo trovato gran parte dell’ispirazione nel ritmo ho sempre provato a trasmettere la stessa cosa alle mie allieve e ai miei allievi, senza appesantirli con il concetto di bellezza statuaria ma inculcando l’idea che danzare sia un modo per trasmettere l’energia che muove le cose, che agita le esperienze e ci fa sentire vivi. La danza racconta storie e può raccontare anche la nostra storia. I repertori classici e quelli contemporanei, del resto, sono ricchissimi di storie che trovano traduzione espressiva nella danza ma che avrebbero potuto trovarla, come hanno, anche in altri codici artistici, come l’opera, il teatro, il cinema o la pittura. La danza, quindi, è innanzitutto un codice espressivo che dà voce al corpo e che può collaborare con altri codici espressivi per arricchire il potenziale creativo che è così forte nei giovani. In modo più particolare, però, la danza ha la capacità di dare espressione all’inconscio, ai pensieri nascosti, di far venire fuori quelle parti di noi che la cultura, anche senza volerlo, può censurare. Da questo punto di vista la relazione tra giovani e danza, che io trovo molto forte e diffusa, si spiega con questo legame. Se io racconto la storia di un amore tragico con un libro l’emozione arriva già mascherata dai temi della cultura in cui quella storia è calata. Se la stessa storia viene raccontata con la danza l’emozione arriva libera, profonda, come puro istinto del corpo alla gioia o al dolore. La danza stimola una parte del nostro cervello che è preposta a processare percezioni tattili e olfattive, le stesse che la cultura della parola e dell’immagine tendono a mettere in secondo piano e che sono anche quello più arcaiche e inconsce. La danza, del resto, è presente nei rituali arcaici e antropologicamente precede le culture espressive che oggi sono preponderanti. Ritrovarla, riaccendere il contatto con il proprio corpo, educare il movimento istintivo può certamente essere un modo per aiutare i giovani ad esprime quella parte di loro stessi che sentono viva ma che a volte viene frustrata. Con la danza i giovani posso imparare a dare espressione all’istinto, ancora così forte alla loro età, senza esserne sopraffatti”.
Può spiegare la metafora fra la vita e la danza? In che modo questa relazione aiuta i Suoi studenti a crescere sia come ballerini che come individui?
“Per me la danza è rigore esistenziale, assenza di ipocrisie, sincerità del corpo e, prima di ogni cosa, reciproca interconnessione. Non si può eseguire l’emozione di una coreografia come se i corpi fossero gli ingranaggi di un orologio. I corpi non sono parti meccaniche ma esseri viventi, emozioni. Durante una coreografia l’attrazione tra corpi, la repulsione, il coordinamento, il sostegno in una presa, devono tutti essere sinceri, genuini, veri. Per ottenere questo tra le ballerine e i ballerini ci deve essere un rapporto di totale sincerità, e questo rapporto inizia in sala, alla sbarra, e prosegue nei camerini. Quindi direi che la più importante relazione tra danza e vita si fondi su questo concetto di socialità sincera. I miei sforzi più grandi come maestra vanno sempre in questa direzione. A danza, come del resto a scuola, i bambini e i ragazzi fanno esperienza di vita di gruppo, e quindi di condivisione, di conflitto, di amore, di odio e di una infinità di altre cose. Io cerco di fare in modo che questa esperienza sia sempre sana e che abbia come obiettivo finale la reciproca connessione e il rispetto dell’altro.
C’è poi l’aspetto del rigore e del sacrificio. Danzare è come imparare a recitare con una complicazione dovuta al fatto che il corpo viene normalmente utilizzato in modo istintivo, per mezzo di una connessione tra sfera emotiva, percezione e movimento su cui spesso non abbiamo controllo. Non si può controllare questo istinto del movimento senza una educazione rigorosa del corpo. Replicare il movimento del corpo mentre si unisce ad un altro in segno di gioia, ad esempio, comunicando questa emozione sincera al pubblico, richiede la capacità delle danzatrici e dei danzatori di provare la stessa emozione, di immedesimarsi profondamente in quello che fanno controllando ogni singolo muscolo coinvolto nel movimento. Questa cosa richiede ore alla sbarra, esercizio fisico, prove di coordinamento, e altro ancora. C’è bisogno di rigore nell’impegno profuso per raggiungere quell’obiettivo. Capire questo, che un obiettivo, anche quello apparentemente più semplice, richiede una quota di impegno e sacrificio, significa confrontarsi con la vita e, anche in piccola parte, diventare più grandi”.
Com’è la scuola dei sogni che immagina per il futuro dei ragazzi? Inserirebbe il teatro o la danza a scuola come attività di potenziamento e come si potrebbe collegare con le altre discipline?
“Credo innanzitutto che la scuola sia una delle cose più importanti della nostra società e che fare scuola sia estremamente complicato, ragione per la quale sono sempre molto esitante nell’esprimere idee o soluzioni in proposito. Ho partecipato a moltissimi PON di educazione al movimento, o più specificamente di danza, e le esperienze fatte mi hanno sempre entusiasmato. Sarei tentata dall’affermare che l’introduzione della danza o di qualcosa di simile, come l’educazione al movimento associata al teatro, siano utili e praticabili come attività del percorso scolastico. Molto, però, dipende dal tipo di scuola che vogliamo costruire nella nostra società. Attualmente, la scuola, in gran parte del Paese, è regolata come attività mattutina che può prevedere attività extrascolastiche pomeridiane o esperienze, forse più sporadiche, di attività pomeridiane stabili. Allo stesso tempo, se si escludono i licei tersicorei, manca la strutturazione di un percorso formativo all’insegnamento che possa essere paragonata a quella delle altre discipline, per cui credo si porrebbe un problema di selezione dei docenti a scapito della qualità della didattica. Voglio dire che proposte di questo tipo vengono il più delle volte viste come opportunità di allargamento del mercato del lavoro piuttosto che come opportunità didattiche per la formazione dei bambini o dei ragazzi. Anche le relazioni interdisciplinari, che certamente ci sono, ad esempio tra danza e musica, danza e letteratura così come tra danza ed educazione fisica, non devono mai essere una forzatura o ricercate per giustificare qualcosa. La collaborazione ha sempre bisogno di esperienza per essere realmente tale ed essere fruttifera sul piano della formazione.
Per tutte queste ragioni la mia risposta sincera è che allo stato attuale non sia possibile o necessaria una introduzione strutturale della danza nel percorso scolastico. Viceversa, una sua presenza come attività extrascolastica, come già accade in molti progetti, può dare maggiori frutti. Questo perché nei singoli progetti si ha modo di contestualizzare meglio l’esperienza formativa, di lasciare libera l’adesione al progetto e quindi la motivazione alla formazione, e di valutare meglio le qualità dei singoli docenti”.
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