Maturità ‘da anni venti’, dice Vertecchi

Trovo che sia perfettamente adeguato a valutare le competenze che la società italiana degli anni Venti richiede a uno studente“. Questo drastico giudizio sull’attuale esame di Stato appartiene non a qualche arrabbiato professore di base un po’ “gruppettaro”, come si diceva una volta, ma ad un personaggio, come il prof. Benedetto Vertecchi, che pure ha svolto un ruolo importante, come presidente del CEDE (oggi INVALSI, da cui si è dimesso alla fine del 2001) e come ascoltato consigliere del ministro Berlinguer, nella riforma dell’esame, introdotta dal governo di centro-sinistra nella scorsa legislatura con la legge 425 del 1997.
In realtà Vertecchi riprende una sua vecchia polemica contro lo spazio che l’esame ha sempre riservato, prima e dopo la riforma, al colloquio, funzionale a “una grande esibizione di ars oratoria, in cui il candidato deve fare ‘bella figura’ più che dimostrare le cose che effettivamente sa“.
Forse il prof. Vertecchi avrebbe dovuto sostenere con maggiore determinazione il suo orientamento quando il Parlamento, in sede di approvazione della legge 425, decise di affidare la “terza prova” pluridisciplinare alle commissioni d’esame, allora costituite da commissari esterni e non come adesso da soli interni, e non al CEDE, che si andava proprio allora riconfigurando come Istituto nazionale di valutazione. Ora torna alla carica, rilanciando “le prove scritte, associate alla somministrazione di test oggettivi, che funzionano assai meglio dell’attuale colloquio“. In questa direzione, almeno in parte, si muove comunque anche il decreto legislativo sul sistema di valutazione, attuativo dell’art. 3 della legge n. 53, specialmente dopo l’accoglimento degli emendamenti proposti dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni volti a rafforzare la presenza delle regioni all’interno dell’organismo e a rimarcare una maggiore indipendenza dal MIUR.