Ma votare è un diritto o un dovere?

Bell’esempio per i giovani quello di un ministro che ha paura del voto. Dove andrà e cosa farà il ministro Gelmini domenica prossima non ci interessa. Ci interessa, invece, dove dovrebbe andare alla luce dei disastri che ha provocato insieme al governo fino ad oggi: a casa. E lì restare. Il mondo della scuola non ha trovato in lei né una guida né una visione di futuro: è ora che, insieme a tutto il governo, tragga le conclusioni di questo fallimento”.

Così Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria Pd, ha commentato l’invito di Mariastella Gelmini a disertare il voto sugli “inutili” quesiti referendari, evidenziando il carattere eminentemente politico della consultazione: non pro o contro l’energia nucleare, l’acqua pubblica, il legittimo impedimento, ma pro o contro il governo, a prescindere dall’esito delle votazioni. In questa ottica il fatto stesso di recarsi alle urne sarebbe un voto di sfiducia nei confronti di chi, come Gelmini, ha invitato gli elettori all’astensione.

Arma a doppio taglio, tuttavia, perché se la percentuale degli astenuti risultasse elevata, significativamente superiore al 50%, la maggioranza potrebbe sostenere di essere stata ascoltata nel suo appello al non voto, e di avere quindi la fiducia dei cittadini, che avrebbero consapevolmente e legittimamente esercitato il loro diritto ad astenersi. E a non condividere l’opinione espressa dal presidente Napolitano, che con riferimento ai referendum ha detto che si sarebbe recato alle urne    per fare il suo dovere  (“come sempre”, ha aggiunto).

Diritto (a non votare) o dovere (di votare) per salvaguardare un importante istituto della democrazia come il referendum? Anche attraverso questo dilemma passa il confronto tra gli schieramenti politici nell’attuale difficile fase evolutiva del bipolarismo di rito italiano.