Litigi tra bambini: come gestire il conflitto partendo dall’ascolto

di Alberto Oliverio

Paradossalmente, le origini dell’ascolto risalgono alla fase fetale, a partire dalla ventesima settimana, quando il nascituro inizia a riconoscere le caratteristiche “musicali” o prosodiche della voce materna, trasmessa attraverso le pareti addominali. A pochi giorni di vita, un neonato presenta una sensibilità particolare al ritmo, intonazione e alle variazioni di frequenza e ai diversi suoni della lingua parlata. Così, già nei primi 3 giorni di vita i neonati preferiscono ascoltare una storia/melodia nota, che avevano sentito leggere durante le sei settimane precedenti il parto, rispetto a una storia mai ascoltata… Sono queste le lontane origini dell’ascolto che, man mano, trasformerà il rapporto con l’adulto gettando le fondamenta di uno dei pilastri della vita sociale e affettiva.

Dal punto di vista evolutivo, ascoltare ed essere ascoltati fa parte di un insieme di caratteristiche degli esseri umani essenziali alla loro sopravvivenza. Accanto alle pulsioni primarie, come la fame, la sete, la necessità di proteggersi, il sesso, gli esseri umani hanno sviluppato delle necessità/propensioni: una di queste è il legame di attaccamento che unisce il genitore al bambino, essenziale per assicurarne la sopravvivenza fisica così come il benessere psicologico.

Ma anche i legami di gruppo, sia quelli affettivi come l’amicizia, sia quelli che fanno capo a una struttura sociale integrata, possono essere considerati come un’estensione del legame madre/piccolo che accresce la sopravvivenza individuale e, di conseguenza, del gruppo. L’ascolto fa parte di questi legami: alla vicinanza fisica e al tatto, così importanti nei primi anni di vita, si sostituisce man mano l’ascolto, l’entrare in contatto con l’altro.

La parola pone in relazione, fa parte del legame di attaccamento al centro degli studi di John Bowlby: ma al tempo stesso la parola diventa un motore di quell’autonomia, la spinta al progressivo distacco, descritta dalla psicologa Mary Ainsworth.

Un bambino o un ragazzo hanno bisogno di sviluppare una propria autonomia, sia pure sotto la vigilanza dell’adulto, e se questo bisogno viene frustrato, la comunicazione e le azioni possono diventare violente. Ciò si verifica non soltanto quando non ci si può separare da una figura di dipendenza (figlio/madre ecc.) ma più in generale in tutte le situazioni di conflitto irrisolto. Questo aspetto sottolinea una fondamentale caratteristica delle necessità individuali, vale a dire il bisogno di essere significativi. Sin dall’infanzia si affermano le necessità dell’Io, avere un ruolo, essere riconosciuti, avere un’identità sociale.

L’aggressività è spesso un modo per comunicare che queste istanze psichiche non sono soddisfatte o sono poste in crisi. Similmente, se il dialogo fallisce e quindi i bisogni psichici non sono esauditi, la comunicazione può diventare violenta dal punto di vista psichico e fisico.

L’ascolto ha due dimensioni che implicano che l’adulto, si tratti del genitore o del maestro, abbia la capacità di farsi ascoltare ma sia anche in grado di comprendere gli aspetti palesi e nascosti della comunicazione. Per essere ascoltato, l’adulto deve conoscere i reali bisogni del bambino, vale a dire parlare di qualcosa che in quel momento susciti interesse e curiosità, abbia una dimensione affettiva. Dal canto suo, l’ascolto da parte del bambino ha i suoi tempi: spesso si guarda al bambino come a un piccolo adulto, dimenticando che tempi troppo veloci o concetti troppo complessi, che presumono che i piccoli abbiano già una bussola in grado di orientarli, non “bucano” le già brevi capacità di attenzione del piccolo.

Ma oltre ai limiti attentivi e cognitivi del bambino, l’ascolto richiede anche che l’adulto abbia la capacità di sviluppare una dimensione affettiva intersoggettiva o, per dirla col termine coniato da Donald Winnicott, che il piccolo sia “Hold in mind”, cioè faccia parte di uno spazio psichico in cui egli si sente accolto, sostenuto, rassicurato, incoraggiato. L’ascolto implica quindi un’atmosfera di reciproca fiducia. 

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