
Il linguaggio pedagogico nella scuola di ieri e di oggi

Il linguaggio della pedagogia è un campo dinamico e in continua evoluzione, che riflette le trasformazioni sociali e le diverse concezioni dell’educazione. Le parole scelte in questo ambito non sono semplici etichette, ma modellano il pensiero, influenzano le azioni e definiscono la natura stessa del sapere pedagogico. Per comprendere questa complessità, è utile confrontare le prospettive di figure chiave come Dina Bertoni Jovine, Maria Teresa Moscato e Massimo Baldacci, e integrare questa analisi con l’evoluzione storica e le influenze contemporanee sul linguaggio pedagogico. Negli anni ’40 e ’50, il linguaggio pedagogico di figure come Ovide Decroly e Édouard Claparède era prettamente “scientifico”; questi pedagogisti infatti furono pionieri della pedagogia scientifica, fondata sull’osservazione, la sperimentazione e l’analisi di dati empirici. Il loro contributo fu fondamentale per la nascita di un approccio sistematico e basato su evidenze nell’educazione.
Contestualmente, Dina Bertoni Jovine (1898-1970), figura di spicco della pedagogia italiana del Novecento influenzata dal Marxismo e da Gramsci, concepiva l’educazione come un’autentica “azione politica” e una “lotta” per la liberazione. Il linguaggio pedagogico del suo tempo mirava alla trasformazione sociale e a una scuola democratica, utilizzando concetti come “lotta contro il senso comune” per smantellare pregiudizi e creare “coscienze libere, critiche”. La scuola era vista come un laboratorio di azione concreta, e il linguaggio un potente veicolo per ideali di emancipazione e giustizia sociale. Questa enfasi sulla concretezza e la finalità politica è un elemento che andrebbe recuperato oggi, dato che le parole rischiano di perdere il loro significato operativo. Negli anni ’80 e ’90 in Italia, il linguaggio della pedagogia si è caratterizzato per un progressivo abbandono dei modelli educativi tradizionali, a favore di approcci più attivi, centrati sul bambino, sulla relazione educativa e sulla valorizzazione della diversità e della complessità.
Maria Teresa Moscato, nel suo saggio “Ripensare la pedagogia: passione, illusione, progetto” (2012), offre una critica necessaria allo stato attuale della pedagogia accademica italiana, evidenziando una “debolezza epistemologica” e una “frammentazione”. Moscato identifica un “difetto epistemologico” nella pedagogia come “teoria dell’agire educativo”, spesso priva di una propria teorizzazione e dipendente da altre discipline. Propone di ripensare la pedagogia come disciplina teoretica, ridefinendo il suo oggetto formale in chiave fenomenologica. Ritiene che la pedagogia non sia “debole”, ma una disciplina con un solido substrato filosofico. L’errore, secondo il pensiero del suo maestro Gino Corallo, risiede nel voler agire senza prima chiarire il significato dei fatti educativi, attingendo acriticamente da altri saperi. Questa ‘volontà di agire’ senza problematizzare rallenta la comprensione scientifica, portando ad adottare filosofie implicite. La definizione esplicita dell’oggetto di indagine è cruciale per il sapere pedagogico. Moscato invita a ripensare la pedagogia come disciplina teoretica, superando l’assunto di un sapere solo pratico e riaffermando la necessità di una chiara definizione autonoma del suo oggetto di studio. Questo eviterebbe dipendenze acritiche e promuoverebbe un autentico avanzamento scientifico. Massimo Baldacci (2023) analizza le sfide attuali del linguaggio pedagogico, evidenziando la sua rilevanza epistemologica e pratica. Il problema centrale è la “contaminazione” tra termini specialistici e linguaggio comune, che genera vaghezza e appesantisce i concetti con pregiudizi, impoverendo il dibattito. Baldacci sottolinea uno “scarto linguistico” tra ricerca e pratica e una “disunità” del linguaggio teorico dovuta alla pluralità dei paradigmi, paragonandolo a una città caotica.
Propone “tolleranza epistemologica” verso il pluralismo e un “lessico pedagogico di base stabile”. Questa tolleranza è cruciale per il dialogo, ma senza cadere in un relativismo che comprometta chiarezza ed efficacia. Confrontando queste prospettive, emerge un chiaro cambiamento nel dibattito. Se il linguaggio pedagogico di Jovine era una spinta ideale e politica, strumento di lotta e costruzione, oggi il panorama è più frammentato, consapevole delle criticità linguistiche ed epistemologiche. C’è attenzione alla distinzione tra linguaggio specialistico e comune, alla convergenza teoria-prassi e alla gestione del pluralismo. Il linguaggio contemporaneo naviga tra rigore disciplinare e vaghezza, cercando un dialogo fecondo tra le diverse “anime” della pedagogia. In sintesi, mentre ieri era un veicolo di ideali e azione, oggi è un campo di riflessione epistemologica sulla sua natura e limiti, un tentativo costante di colmare lo scarto tra teoria e prassi e di gestire la sua pluralità per garantire comunicazione efficace e avanzamento. Il linguaggio pedagogico attuale è caratterizzato da un’inflazione di termini ed espressioni inglesi. Questo fenomeno, noto come anglicizzazione, non è esclusivo della pedagogia, ma è presente in molti settori della società italiana contemporanea. L’utilizzo di termini inglesi è motivato da diverse ragioni: alcuni termini inglesi descrivono concetti o metodologie nuove, spesso per le quali non esiste una traduzione immediata o adeguata in italiano; l’uso di termini inglesi conferisce un senso di modernità ed internazionalità, specialmente in ambiti come la pedagogia “chic”.
Tuttavia, è importante sottolineare che l’eccessivo ricorso agli anglicismi può rendere il linguaggio pedagogico meno accessibile a un pubblico ampio e meno specializzato. Il discorso pedagogico sta mutando paradigma: sta emergendo il piacere nel bambino o nel ragazzo come finalità a sé stante. Nello stesso tempo, l’iniziale ostilità verso l’utilizzo delle tecnologie digitali si sta trasformando in un apprezzamento delle loro possibilità e delle loro capacità di potenziamento e stimolo operativo, sulla scia della massiccia introduzione ed implementazione nelle scuole di strumentazioni tecnologiche sempre più sofisticate e di programmi digitali avanzatissimi. L’educazione oggi vuole essere più equa, sostenibile, inclusiva e partecipativa. La “warm cognition” (ovvero l’apprendimento senziente) ci mostra quanto siano inseparabili emozioni (sentimenti, affezioni, aspettative, ecc.) dai processi cognitivi e come tutto si influenzi reciprocamente, determinando l’insieme di imparare, conservare, intelligere, sentire e agire. La dimensione dell’intelligenza ludica è sempre più presente, l’outdoor education sta arricchendo le pratiche pedagogiche e le didattiche contemporanee, mentre prende sempre più piede la pedagogia del dialogo.
Possiamo aiutare i nostri ragazzi a navigare in questo mare di rapide informazioni e di fugaci emozioni accompagnandoli con fiducia e con la motivazione a non mollare mai, ad avere un pensiero divergente, critico, autonomo. La sfida attuale è trovare nuove idee e inediti modelli educativi garantendo un equilibrio dinamico tra precisione terminologica, indispensabile per la ricerca, e comprensibilità, essenziale per rendere la pedagogia uno strumento vivo e rilevante. Solo così potrà essere una guida vitale per il futuro dell’educazione. Esiste poi anche il linguaggio pedagogico ministeriale, un linguaggio non sempre chiaro e comprensibile nel definire disposizioni utili per il funzionamento della scuola.
Interessante è anche osservare parallelamente come il linguaggio pedagogico degli insegnanti si sia modificato nel corso della storia della scuola. Sarebbe affascinante andare alla ricerca e alla scoperta negli archivi delle varie istituzioni scolastiche per riscontrare come il linguaggio usato dalle insegnanti dell’epoca dal punto di vista semantico è mutato, come risulta cambiata la descrizione pedagogico – didattica dell’attività educativa e formativa svolta nella scuola di ieri rispetto a quella di oggi. Così pure come anche i genitori mentre nel passato hanno dato una totale fiducia all’attività formativa degli insegnanti riconoscendo in loro il lavoro educativo effettuato, oggi assistiamo a genitori più preparati culturalmente rispetto al passato che si sentono in dovere d’intervenire nella conduzione dell’attività didattica degl’insegnanti creando a volte tensioni e difficoltà nelle relazioni.
Il linguaggio pedagogico sostanzialmente, pertanto, ha influito e influisce non solo nei processi d’insegnamento e apprendimento, ma ha avuto anche effetti e conseguenze considerevoli nelle relazioni tra dirigente scolastico – insegnanti – alunni e famiglie.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Solo gli utenti registrati possono commentare!
Effettua il Login o Registrati
oppure accedi via