Tuttoscuola: Non solo statale

L’IMU sugli edifici della Chiesa mette a rischio 4.300 scuole dell’infanzia

La tassa sugli immobili della Chiesa sta preoccupando i cattolici, soprattutto per il rischio che possano essere colpiti gli edifici destinati ad attività no profit, come quelli destinati all’assistenza e all’istruzione.

In particolare le scuole per l’infanzia, che da sole costituiscono il 73% delle istituzioni scolastiche non statali, sono al centro delle preoccupazioni della Chiesa e del mondo cattolico, perché in quel settore si trova la maggior parte delle istituzioni il cui gestore è un ente religioso (per lo più parrocchie).

Su 9.510 scuole dell’infanzia paritarie distribuite sull’intero territorio nazionale e, in particolare nei piccoli paesi dove non è presente la scuola statale o comunale, sono ben 4.310 (oltre il 45%) le scuole gestite dalle parrocchie o da congregazioni ed enti religiosi.

Si tratta per lo più di piccole scuole (con due-tre sezioni) che svolgono una funzione sociale importante, quasi sempre in sostituzione o ad integrazione dell’intervento statale.

I loro bilanci sono quasi sempre costituiti da poche voci: da una parte le entrate rappresentate dal contributo statale (erogato normalmente in ritardo e di valore effettivo in decremento) e dalle rette delle famiglie, e dall’altra i costi di gestione per personale e servizi.

Il pareggio di bilancio è spesso un obiettivo pressoché irraggiungibile.

Se l’IMU per gli immobili della Chiesa verrà applicata anche agli edifici che ospitano quelle scuole dell’infanzia, il rischio di chiusura dell’attività scolastica per molte di esse potrebbe farsi concreto.

A quel punto lo Stato o i Comuni dovrebbero farsi carico di organizzare il servizio per tutti gli studenti che oggi frequentano quegli istituti, ad un costo medio per alunno che va dai circa 6 mila euro l’anno per le scuola dell’infanzia e primarie agli oltre 7 mila euro per quelle secondarie. Certo lo Stato risparmierebbe per gli istituti in chiusura il contributo per le paritarie, che però è di meno di 600 euro per alunno per le scuole dell’infanzia e di 51 euro per le secondarie superiori. Conviene?

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