Le riforme senza il Parlamento

Il decreto sulle liberalizzazioni (Bersani) è stato convertito in legge in via definitiva con un doppio voto di fiducia. Ancora una volta dunque un importante provvedimento riguardante la scuola è stato assunto in Italia con una procedura che non ha coinvolto il Parlamento (soprattutto il Senato, in questo caso) nella sua elaborazione e discussione.
Segno della persistente difficoltà che l’attuale sistema politico e istituzionale incontra sulla via della ordinaria produzione legislativa anche su un terreno, come quello della politica scolastica, che più di altri potrebbe (dovrebbe) prestarsi al civile confronto, alle mediazioni, alle convergenze sulle scelte di portata strategica, quelle di medio-lungo periodo, destinate ad attraversare le legislature e le maggioranze pro tempore. E segno dei limiti dell’attuale bipolarismo, che sottopone i governi a forti condizionamenti provenienti dall’interno delle loro stesse maggioranze.
E’ successo a questo governo, soprattutto sulla politica estera, ma è successo anche al precedente governo di centro-destra, che pure disponeva di un’ampia maggioranza parlamentare, come ha dovuto constatare il ministro Moratti, per esempio sulla questione dei “licei vocazionali”, imposti dall’asse AN-Confindustria.
Il voto di fiducia può essere una scorciatoia per sfuggire (anche) ai condizionamenti interni, come è avvenuto in questa legislatura – nel settore della politica scolastica – con la Finanziaria 2007, che ha introdotto una disciplina dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione certamente non gradita alla cosiddetta sinistra radicale. Ma un bipolarismo di questo tipo, sottoposto alle coercizioni delle minoranze interne, non sarà mai capace di prendere quelle decisioni, necessariamente bipartisan, sulle quali potrebbero formarsi maggioranze del 75-80% e più. Come succede negli USA, patria del bipolarismo, in particolare sulla politica scolastica. Ma lì siamo in presenza di un bipolarismo “maturo”…