Lavoro: la malattia dei giovani

Si stima che almeno 60 mila giovani adulti (25-30anni) siano nella condizione di inattivi, completamente usciti dal mercato del lavoro (Neet) e che nemmeno lo cercano. Mentre, stando agli esiti dell’indagine del gennaio 2012 della fondazione Moressa di Mestre, dal 2007 al 2010 è aumentata la presenza di manodopera straniera nei settori di attività e nelle professioni. Il 37,7% degli immigrati è occupato in professioni non qualificate, il 28,3% svolge una funzione di operaio specializzato, il 14,5% è un professionista qualificato. Nel settore degli artigiani e degli operai si registra una riduzione di 174mila italiani e una crescita di 132mila immigrati.

Siamo di fronte ad un problema serio che va trattato con obiettività perché sembra mettere in dubbio l’attuale modello sociale, che appare non in grado di garantire un futuro di lavoro ai giovani. La famiglia, che ha una forte incidenza nella costruzione dell’atteggiamento del figlio verso la realtà lavorativa, sembra preferire l’ampia e rassicurante, onnicomprensiva offerta formativa liceale, per l’iscrizione dei figli alle superiori.

Gli ultimi dati disponibili del Miur in tema di iscrizioni, per quanto non ancora completi (elaborati al 65%, ma comunque significativi), parlano di una netta preferenza per i licei, in particolare scientifico e linguistico.

Le iscrizioni negli istituti tecnici ‘tengono’ mentre cala decisamente l’interesse per i professionali. Che abbia inciso l’insufficienza decretata dall’Ocse visti i risultati nient’affatto brillanti registrati nei test dagli studenti dei professionali? O i pregiudizi culturali rispetto ad alcune tipologie di lavoro (informatici, elettricisti, meccanici, idraulici, etc.) hanno reso poco accattivante la spendibilità sul mercato di un titolo di studio specifico, settoriale?