La scuola nel programma del PDL

Per ora una vera e propria piattaforma programmatica non è stata presentata dalla neonata formazione politica derivante dalla confluenza in un’unica lista elettorale dei due maggiori partiti del centro-destra, Forza Italia e Alleanza Nazionale.

Qualche accenno l’ha fatto il candidato premier Berlusconi, che in materia di istruzione si è limitato a lodare la riforma Moratti (“una grande riforma“, ha detto), lasciando capire – come per il ponte di Messina – che un eventuale futuro governo di centro-destra ripartirebbe dal punto a cui era arrivato il precedente governo da lui stesso guidato  prima delle elezioni del 2006.

Ma in questo modo il neonato PDL rischierebbe di apparire vecchio e ripetitivo, più legato al passato che al futuro, e di lasciare al PD di Veltroni il vantaggio di muoversi sul terreno e con le parole d’ordine del cambiamento, dell’innovazione, del merito: parole d’ordine che il segretario del PD ha ora la possibilità di utilizzare credibilmente, avendo consumato, anche attraverso una scissione del suo partito di provenienza, la “rupture” a sinistra.

Il centro-destra, che dopo la decisione dell’UDC di non entrare nel PDL rischia di apparire sbilanciato a destra, avrebbe tutto l’interesse a non farsi trovare scoperto sul versante dell’elettorato moderato di centro, che non gradirebbe, dopo i quasi due anni di cauto riformismo “buonsensista” di Fioroni, di azzerare tutto e tornare indietro, per esempio sulla vexata quaestio del destino degli istituti tecnici e professionali. Meglio sarebbe ripartire dalla situazione attuale, e guardare avanti senza pregiudizi, cercando il dialogo, e non lo scontro con un partito, come il PD, che si mostra disponibile all’innovazione anche rispetto a quanto il centro-sinistra “tradizionale” ha realizzato in passato.