La scuola italiana tra storia e nostalgia

Chi si occupa di scuola, e magari ne ha vissuto le vicende degli ultimi decenni, troverà l’ultimo libro di Giuseppe Ricuperati (Storia della scuola in Italia, editrice La Scuola) da un lato affascinante, coinvolgente come sa essere un tuffo nel proprio passato, e nello stesso tempo provocante, discutibile perché apertamente schierato: come non ci si attenderebbe da un libro di storia che dovrebbe spiegare, e non giudicare gli eventi e i personaggi trattati.

Ma Ricuperati non è stato solo un autorevole storico (ha insegnato a lungo storia moderna nell’università di Torino), è stato anche un militante politico, o meglio quello che nella seconda metà del secolo scorso veniva definito a sinistra come un ‘intellettuale organico’ nel circuito PCI-Cgil-Cidi.

E così, mentre come storico ha utilizzato, anche in questo libro, gli strumenti dell’accurato ricercatore che è sempre stato, come militante politico-culturale non ha nascosto le sue valutazioni dichiaratamente di parte e le sue personali simpatie e antipatie per i personaggi dei quali si è occupato ricostruendo le vicende degli ultimi cinquanta anni, vissuti in presa diretta: Falcucci “competente ma centralistica”, Occhetto “colto ma forse fragile”, Luigi Berlinguer “il migliore ministro di questo tratto”, paragonato a Codignola e a Raicich ma “come loro, spesso condannato alla solitudine”, D’Alema “uno dei più brillanti politici della Sinistra”, Berlusconi “coriaceo”, Moratti “del tutto incompetente” di scuola, riduttivamente presentata come “la Dott. Moratti”, accusata (ma questo è un errore del pur attento Ricuperati: la responsabilità è della previgente riforma della PA di Franco Bassanini) di aver tolto l’aggettivo ‘pubblica’ dalla denominazione del Ministero dell’istruzione.

La lettura esplicitamente partigiana della storia della scuola italiana, soprattutto di quella degli ultimi decenni, impedisce probabilmente all’autore di cogliere le cause strutturali della continuità inerziale del nostro sistema educativo e del fallimento delle riforme (tranne quella della scuola media del 1962), da ricondurre a più generali ragioni di carattere politico-istituzionale: la difficile governabilità, il mancato decollo di un’alternanza di taglio europeo tra moderati e riformisti (prima a causa del ‘fattore K’, poi per la competizione a sinistra tra PCI e PSI) e quel fenomeno dell’ostruzionismo di maggioranza, come lo definì profeticamente Calamandrei già nel 1953, che ha caratterizzato le eterogenee e contraddittorie coalizioni che hanno governato il nostro Paese sia nella prima che nella seconda Repubblica, come hanno potuto verificare sia Prodi che Berlusconi.

L’opera di Ricuperati, che si conclude non a caso con una sobria e intensa autobiografia politico-intellettuale dell’autore, non offre dunque a nostro avviso una chiave interpretativa convincente per spiegare la difficile riformabilità della scuola italiana. Ma il libro merita di essere letto perché contiene una splendida ricostruzione storica, con venature di nostalgia, delle speranze perdute e delle occasioni mancate da una parte importante della Sinistra politica e pedagogica nell’Italia repubblicana.Chi si occupa di scuola, e magari ne ha vissuto le vicende degli ultimi decenni, troverà l’ultimo libro di Giuseppe Ricuperati (Storia della scuola in Italia, editrice La Scuola) da un lato affascinante, coinvolgente come sa essere un tuffo nel proprio passato, e nello stesso tempo provocante, discutibile perché apertamente schierato: come non ci si attenderebbe da un libro di storia che dovrebbe spiegare, e non giudicare gli eventi e i personaggi trattati.

Ma Ricuperati non è stato solo un autorevole storico (ha insegnato a lungo storia moderna nell’università di Torino), è stato anche un militante politico, o meglio quello che nella seconda metà del secolo scorso veniva definito a sinistra come un ‘intellettuale organico’ nel circuito PCI-Cgil-Cidi.

E così, mentre come storico ha utilizzato, anche in questo libro, gli strumenti dell’accurato ricercatore che è sempre stato, come militante politico-culturale non ha nascosto le sue valutazioni dichiaratamente di parte e le sue personali simpatie e antipatie per i personaggi dei quali si è occupato ricostruendo le vicende degli ultimi cinquanta anni, vissuti in presa diretta: Falcucci “competente ma centralistica”, Occhetto “colto ma forse fragile”, Luigi Berlinguer “il migliore ministro di questo tratto”, paragonato a Codignola e a Raicich ma “come loro, spesso condannato alla solitudine”, D’Alema “uno dei più brillanti politici della Sinistra”, Berlusconi “coriaceo”, Moratti “del tutto incompetente” di scuola, riduttivamente presentata come “la Dott. Moratti”, accusata (ma questo è un errore del pur attento Ricuperati: la responsabilità è della previgente riforma della PA di Franco Bassanini) di aver tolto l’aggettivo ‘pubblica’ dalla denominazione del Ministero dell’istruzione.

La lettura esplicitamente partigiana della storia della scuola italiana, soprattutto di quella degli ultimi decenni, impedisce probabilmente all’autore di cogliere le cause strutturali della continuità inerziale del nostro sistema educativo e del fallimento delle riforme (tranne quella della scuola media del 1962), da ricondurre a più generali ragioni di carattere politico-istituzionale: la difficile governabilità, il mancato decollo di un’alternanza di taglio europeo tra moderati e riformisti (prima a causa del ‘fattore K’, poi per la competizione a sinistra tra PCI e PSI) e quel fenomeno dell’ostruzionismo di maggioranza, come lo definì profeticamente Calamandrei già nel 1953, che ha caratterizzato le eterogenee e contraddittorie coalizioni che hanno governato il nostro Paese sia nella prima che nella seconda Repubblica, come hanno potuto verificare sia Prodi che Berlusconi.

L’opera di Ricuperati, che si conclude non a caso con una sobria e intensa autobiografia politico-intellettuale dell’autore, non offre dunque a nostro avviso una chiave interpretativa convincente per spiegare la difficile riformabilità della scuola italiana. Ma il libro merita di essere letto perché contiene una splendida ricostruzione storica, con venature di nostalgia, delle speranze perdute e delle occasioni mancate da una parte importante della Sinistra politica e pedagogica nell’Italia repubblicana.