La scuola: dov’è più questa sconosciuta?

Di Rocco Gervasio*

Sembra lontana ormai anni luce la Scuola che i mentori di altre generazioni ritenevano, a ragion veduta, il luogo ideale per far crescere alunne ed alunni nella consapevolezza che onore, dignità e pensiero critico potessero rappresentare i punti cardine per affrontare le sfide del futuro.

Oggi, invece, questa scuola appare sempre più il luogo delle convenzioni, del saper fare a prescindere dal sapere, della competizione fine a se stessa, di stucchevoli conversazioni pseudo-accademiche, della realizzazione del successo personale e della ricerca del successo “informativo” dell’individuo piuttosto che il contesto idoneo alla sua reale crescita culturale.

Una scuola sempre più “azienda/agenzia” pubblica, amministrativa e burocratizzata, dove l’obiettivo non risiede nell’affermazione del valore e delle capacità delle studentesse e degli studenti, o nella ricerca di uno spazio dove costruire la libertà di pensiero, ma nel conseguimento di risultati scolastici “entusiasmanti” ed “invidiabili”, per poi collezionare molteplici e strapagati titoli post-diploma.

Stanno passando così in second’ordine la preparazione, la conoscenza profonda, le capacità di discernimento, di analisi e di sintesi, la ricerca della verità.

La mera attestazione del “peso numerico” di un individuo – in un contesto sempre più convulso, caotico, indefinito – sta prevalendo sul suo “peso specifico”. La dignità di un uomo o di una donna comuni cede il passo alla rassegnazione a non poter rivendicare il proprio inalienabile diritto di vivere compiutamente.

In un contesto così poco definito e tanto fragile, tutti appaiono disorientati: in primis i giovani e, a seguire, il personale scolastico; entrambi sballottati tra mille novità normative che impongono faticosi procedimenti amministrativi, talvolta “surreali”. Adempimenti che, se non ben governati, riducono l’ambiente didattico ad un mero spazio virtuale che pone il discente come punto di tangenza e non più al centro del processo educativo.

E’ diffuso il ricordo di quella scuola in cui un alunno poteva prendere un “voto insufficiente” ed era assolutamente scontato riscontrare il totale riconoscimento del ruolo dei docenti da parte dei genitori, incondizionatamente consapevoli dell’altrui saggezza e autorevolezza.

Oggi, di contro, sembra che l’angosciante difficoltà sia l’accettazione dell’“incidente di percorso”, troppo spesso ricondotto – inequivocabilmente – alla scarsa credibilità della competenza professionale del docente, piuttosto che allo scarso impegno del discente.

Ne consegue una società educante sempre più incerta e demotivata, minata nella sua stessa natura, laddove il docente ripiega e si rifugia nella mera esecuzione del dettato normativo, che lo vede costantemente agire tra “incudine e martello”.

E’ innegabile che abbiamo assistito negli ultimi anni ad incredibili progressi. Tuttavia, c’è ancora da chiedersi se quella “autonomia scolastica” – apparsa a tutti una grande intuizione culturale, quando più di vent’anni fa entrò a far parte del lessico quotidiano – sia ancora un sogno da inseguire o stia cedendo il passo ad una pletora di tentativi ed esperienze che tendono a ridursi, sotto la falsa veste dell’innovazione, al “quieta non movere”!

Appare, dunque, naturale domandarsi se questa scuola, che sembrava aver superato le contraddizioni di un’entità fortemente selettiva e autoreferenziale, non stia correndo il rischio di dover abdicare, un po’ alla volta, e vedere ridimensionati il proprio ruolo e la propria missione, per poi sfornare giovani “plurititolati” ma fortemente penalizzati da carenze lessicali, matematiche, scientifiche e … “chi più ne ha più ne metta”.

Ciò detto, forse è il caso che si dia quanto prima vita ad una riflessione seria, forse una vera e propria “revisione culturale”, che rimetta davvero al centro l’alunno, laddove anche la classe dirigente sappia ragionare per dare ad ogni individuo l’opportunità di fare scuola e emanciparsi in maniera consapevole in un ambiente sano e competitivo.

Spesso la narrazione più frequente – ed oggi imperante – nella formazione delle giovani generazioni è l’evidente disorientamento degli adolescenti, al termine di un percorso di studi, nella scelta responsabile del proprio futuro.

Ma siamo certi che la difficoltà di un ventenne di leggere ed interpretare le esigenze di una società in forte e rapida evoluzione sia solo la conseguenza di una scuola impreparata? O piuttosto, è necessario che questa innegabile verità sia indispensabilmente coniugata con un recupero profondo e sostanziale di quella dimensione formativa, fatta di studio, applicazione, impegno, sacrificio?

Proprio il venir meno di questi principi fondanti spesso fa sì che, se un alunno viene “bocciato”, sia più semplice scagliarsi contro il corpo docente o contro la scuola, incapace l’uno di insegnare o valutare, l’altra di gestire i processi formativi.

Si delinea, così, una scuola che da un lato si sforza di garantire il successo formativo di ogni studentessa e ogni studente, dall’altro fatica ad assicurare loro la possibilità di esprimere appieno tutte le proprie potenzialità.

E’ una crisi profonda, che ha bisogno di interventi urgenti e concreti, per ristabilire un ordine e restituire ad una scuola democratica e inclusiva la capacità di far emergere talenti, costruire e promuovere cultura, formare donne e uomini in grado di raggiungere i propri obiettivi.

*Rettore Dirigente scolastico del Convitto Nazionale Statale “Giordano Bruno” di Maddaloni

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