La scuola che verrà: curricoli essenziali, didattica mista e personalizzazione

Settembre è alle porte, e cresce l’ansia per la sorte di un anno scolastico che parte in salita, per non dire al buio, a causa dell’imprevedibilità dell’andamento della pandemia, che ha ripreso forza in Europa e anche in Italia.

In questa rischiosa partita il Ministro, e con lei i sindacati, sembrano decisi a scommettere tutta la posta sulla ripresa delle lezioni in presenza, in piena continuità con la scuola ante-Coronavirus. In questa direzione va anche l’ultimo parere espresso dal CTS lo scorso 10 agosto quando, in previsione del fatto che il distanziamento non sarà possibile “per alcune decine di migliaia di studenti” per assoluta mancanza di spazio, è stata messa a verbale l’opinione  che  “Al solo scopo di garantire l’avvio dell’anno scolastico, in eventuali situazioni in cui non sia possibile garantire nello svolgimento delle attività scolastiche il distanziamento fisico prescritto, sarà necessario assicurare la disponibilità e l’uso della mascherina, preferibilmente di tipo chirurgico”. Insomma in Italia non c’è un’alternativa al ripristino della scuola ‘di prima’ se non il lockdown totale, come giustamente rilevato da Andrea Gavosto in un articolo su Repubblica uscito il 12 agosto.

Ben diversamente stanno operando le autorità scolastiche di altri Paesi europei, dove si sta discutendo (e decidendo) di turnazioni, riduzione dell’orario, alleggerimento dei carichi curricolari. Per non dire degli USA, dove accanto allo homeschooling si stanno rapidamente espandendo l’hybrid schooling, una formula che riduce a 2-3 giorni la tradizionale didattica in presenza integrandola con quella a distanza e/o flipped con forte coinvolgimento dei genitori, e le microschools, classi di 15 alunni al massimo anche di età diversa (mixed-age level groupings), seguiti in presenza, online e a distanza da docenti specializzati.

Il rischio che corre la scuola italiana (e con essa l’intero Paese) è che resti la stessa (se va bene), e che vada sprecata l’opportunità di un suo radicale cambio di paradigma convertendo in positivo il dramma della prolungata chiusura delle sue sedi fisiche provocato dal lockdown. Come? Consentendo alle scuole di sperimentare il futuro, a partire da quelle che già si sono avviate o sembrano guardare nella direzione del superamento della classe chiusa e degli standard uniformi riferiti a livelli di prestazione rigidamente predefiniti (criterion based standard).

La digitalizzazione e la multimedialità saranno sempre più al centro dell’apprendimento futuro, che supererà le tradizionali partizioni disciplinari procedendo verso oggetti/obiettivi complessi, multidimensionali, nei quali coesisteranno elementi linguistici, fisico-matematici, estetici e magari anche musicali e filosofici, come potrebbe essere in unità didattiche (alcune già disponibili anche in Italia) supportate dalle tecnologie della realtà aumentata e virtuale. I piani di studio non potranno che essere più leggeri e personalizzati, da costruire attorno a un core curriculum essenziale (italiano, matematica, scienze, tecnologia).

Le idee guida delle politiche educative post-Coronavirus, tenendo conto anche del target 4 dell’Agenda 2030 dell’ONU (“Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”), saranno digitalizzazione, inclusione e personalizzazione. Parole chiave nel dibattito internazionale, ma di cui assai poco si parla in Italia se non in ristretti ambiti accademici, e per nulla a livello politico, con l’eccezione di alcune isolate sortite da parte di singoli parlamentari come Valentina Aprea (Forza Italia) e Anna Ascani (PD, attualmente viceministra presso il Ministero dell’istruzione). Settembre è alle porte. Si guarderà al futuro o al passato?