La riforma dei docenti dell’Università in Consiglio dei ministri

Una riforma “all’americana” dello statuto giuridico dei docenti universitari. Questi i contenuti dello schema di ddl delega del ministro dell’Università, Letizia Moratti, che il comitato di presidenza della Conferenza dei rettori (Crui) chiede di non presentare al Cdm di venerdì 16. Ecco i contenuti del disegno di legge.

CONCORSI – Dopo sei anni di concorsi locali, si torna alla prova centralizzata. I concorsi dovrebbero tenersi ogni due anni, alternativamente per professori ordinari e associati. Il numero dei posti banditi supererà del 20% il fabbisogno espresso dagli atenei, che dovranno dimostrare di avere le risorse finanziarie necessarie. Il 15% dei posti per associati sarà riservato ai ricercatori con almeno 5 anni di insegnamento.

DURATA INCARICHI – I vincitori dei concorsi avranno contratti a termine della durata massima di tre anni, rinnovabili per altri tre, al termine dei quali gli atenei dovranno decidere se nominare in ruolo il docente, o rimandarlo a casa.

RICERCATORI – La figura scomparirà e sarà sostituita da profili in possesso di laurea specialistica o titoli superiori (master, dottorati), inquadrati con collaborazioni coordinate e continuative quinquennali, rinnovabili una volta sola.

RETRIBUZIONI – Saranno variabili. Non ci sarà alcuna penalizzazione per chi svolge attività professionali esterne all’Università, ma aumenterà il carico di lavoro. La retribuzione fissa sarà legata allo svolgimento di 350 ore annue, di cui almeno 120 per la didattica. La quota variabile sarà, invece, legata a ulteriori impegni nella ricerca, nella didattica e nelle attività gestionali (anche sulla base di incarichi di organismi privati), o ai risultati raggiunti.

APERTURA AI PRIVATI – Gli atenei potranno svolgere progetti di ricerca in convenzione con imprese o fondazioni, che prevedano incarichi triennali rinnovabili per docenti, i cui oneri saranno a carico delle istituzioni private.

STUDIOSI – Gli atenei potranno coprire una quota non superiore al 6% delle docenze attraverso la nomina in ruolo di studiosi italiani o stranieri di chiara fama. Ma le Universita’ potranno anche stipulare con gli studiosi contratti di diritto privato, per un massimo di tre anni.

Ma sono molte le opinioni discorsi. Il ministro Letizia Moratti non presenti domani al consiglio dei ministri il decreto sul riordino dello stato giuridico dei docenti, lasciando spazio all'”indispensabile confronto con gli interlocutori accademici che dovranno applicare le norme”. Questo l’appello di Piero Tosi, presidente della Conferenza dei Rettori, che su quel decreto ha vivissime perplessita’. Prima di tutto sullo stesso strumento della delega “inadeguato su temi di vitale importanza per i quali serve un confronto con le autorità accademiche che finora non c’è stato”, e poi perchè, a giudizio dei rettori, mancano due fondamenti essenziali: “un piano di investimenti definito” e “un sistema chiaro di valutazione delle attività universitarie nella didattica, nella ricerca e nell’amministrazione”, due momenti che a giudizio della Crui devono “procedere in parallelo”.

Lo Stato, avverte Tosi spiegando il perchè dello stretto collegamento che, secondo la Conferenza, c’è tra finanziamenti e sistema di valutazione, “ha il dovere di finanziare l’università, ma ha il diritto di valutare come i soldi vengono spesi. Un sistema chiaro di valutazione è necessario perchè i docenti devono produrre alta qualità delle attività scientifiche e didattiche”.

C’è però anche altro. Nel testo del decreto, che è stato presentato alla Crui nella formulazione definitiva ieri, “non si tocca, commettendo una gravissima omissione – afferma Tosi – il tema dei diritti e dei doveri dei docenti”. E ancora: la distinzione tra tempo pieno e tempo definito e la previsione di 120 ore di didattica “comportano un appiattimento generale”, come “un incentivo al precariato” si configura l’abolizione della fascia dei ricercatori sostituita da contratti a termine (l’ipotesi e’ di cinque anni rinnovabili). Una retribuzione bassa accompagnata da un posto di lavoro insicuro, avverte il presidente dei rettori, costituiscono una scarsa attrattiva per i giovani ricercatori e per “qualche cervello che torna è ipotizzabile una fuga in massa di tanti altri”. I rettori chiedono poi che si intervenga sui concorsi introducendo una indennità unica invece che la doppia indennità e auspicano concorsi più frequenti, magari biennali, invece dei quattro anni ipotizzati nel decreto.

Su un punto infine l’opinione della Crui è inderogabilmente critica: “non deve essere il ministero a stabilire i requisiti per l’accesso e il conseguimento delle idoneità che è patrimonio della comunità scientifica”. La richiesta della Conferenza dei rettori al ministero, dunque, è per una sospensione momentanea, in attesa che si apra un confronto tra tutti gli interlocutori interessati al tema. Se il decreto dovesse essere comunque presentato in consiglio dei ministri, la partita non è chiusa: “faremo la nostra parte in Parlamento presentando una nostra proposta e sperando che tutte le forze politiche la facciano propria”, assicura Tosi.

Una “riforma radicale” dell’universita’ italiana per rilanciare la ricerca e frenare la fuga di cervelli all’estero. A chiederla è il presidente di Confindustria, Antonio D’Amato, per il quale tale riforma, insieme a quella delle pensioni, è “indispensabile perchè il Paese diventi più competitivo e faccia concreti passi in avanti”. “Purtroppo – ha detto D’Amato intervenendo alla quinta lezione Angelo Costa – non ci siamo, soprattutto sul fronte della ricerca. Le risorse non ci sono, i tempi sono troppo lunghi. Così non si crea quella massa d’urto che dovrebbe servire all’Italia per fare quel salto di qualità che oggi più che mai e’ necessario”. Per il leader degli industriali, quindi, “servono azioni decise, cambiamenti profondi del sistema universitario, non solo italiano ma europeo. E non è solo chiedendo risorse che si cambia volto alla nostra università. Se la politica non puo’ sottrarsi – ha aggiunto D’Amato – anche il mondo accademico deve fare la sua parte e avviare un dibattito e una riflessione”.

Infine, una critica rivolta ai sindacati: “Quando si parla di scuola e universita’ condividono l’esigenza di cambiare e di una maggiore competitività del sistema di istruzione, ma poi – ha concluso D’Amato – speso sono i primi a frenare il processo di riforma”.