La crisi allontana gli iscritti dalla scuola dell’infanzia

Nella tre giorni del convegno nazionale dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia “Educazione e/è politica”, tenuto a Reggio Emilia il 21-22-23 febbraio alla presenza di circa 1.500 partecipanti venuti da tutta Italia e da vari Paesi del mondo, è stato confermato un preoccupante fenomeno che già l’Istat stava rilevando negli ultimi anni: il calo di iscritti alla scuola dell’infanzia.

I responsabili dell’Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia hanno esposto in proposito dati allarmanti.

Nell’arco di una dozzina d’anni, dal 2001-02 al 2013-14, mentre i posti disponibili nelle scuole dell’infanzia sono aumentati sensibilmente (+1.296), la percentuale di bambini iscritti è andata gradualmente diminuendo, passando dal 94,77% di scolarizzati all’86,20%.

Rispetto al totale dei bambini in età (3-5 anni), risulta scolarizzato l’8,5% in meno. Non è un dato da poco, che fa pensare.

L’Istat già da un paio d’anni aveva rilevato su scala nazionale questa flessione, chiedendo al ministero dell’istruzione le ragioni di quel calo, preoccupato forse, anche perché sembra compromesso l’unico obiettivo di Lisbona 2020 (95% di bambini scolarizzati) già raggiunto dall’Italia. 

Il dato di Reggio E. è emblematico di quanto sta avvenendo in campo nazionale. E la causa principale sembra proprio dovuta alla crisi: molte famiglie, se possono, ricorrono ad altre forme di assistenza dei figli, utilizzando nonni e zie. In altri casi la disoccupazione femminile consente alle madri di occuparsi direttamente dei figli a casa. Poi ci sono le famiglie straniere, spesso indifferenti al valore educativo della scuola dell’infanzia (non obbligatoria).  

In tutti i casi la ragione di fondo è quasi sempre la crisi.