Insegnare il funzionamento umano

Com’è possibile che la scuola italiana, che ha contribuito così profondamente a creare una cultura ispirata ai principi universali di convivenza civile, oggi sia così in difficoltà, abbia perso le sue luci?

Ogni contesto professionale contiene vincoli e potenzialità: un’accurata analisi multidimensionale delle scuole consentirebbe di identificare le azioni per il miglioramento, superando il già realizzato adempimento previsto dal Sistema Nazionale di Valutazione, che viene vissuto nella maggior parte dei casi come “lontano” da chi lo effettua.  

Il problema è che solo una parte ristretta di ogni contesto professionale scolastico è davvero interessata al miglioramento, se per questo s’intende parteciparvi, mettendosi in gioco in prima persona.

In ogni scuola la maggior parte del personale non è disposta a lasciarsi coinvolgere per sperimentare nuovi approcci; chi mostra interesse e si lascia coinvolgere dai nuovi problemi, in genere è una parte ristretta del personale docente; riguarda chi già sperimenta, chi già è in formazione permanente, chi già mette al primo posto l’interesse dei suoi alunni piuttosto che i propri.

Sarebbe invece utile raggiungere la maggior parte dei docenti mediante la formazione/ accompagnamento della messa in gioco dei propri stili educativi.

Qui si apre un altro tema, che sarebbe utile scandagliare attraverso l’analisi multidimensionale: riguarda il complesso sistema di risposte emotive di fronte agli eventi considerati “problemi”.

Quando a scuola qualcuno identifica un “qualcosa” che viene percepito come problema, immediatamente scatta la reazione emotiva personale e parte il pilota automatico individuale: Mi riguarda? Se sì, da che parte del problema sto? Il problema fa bene o male al mio stato di comfort? Come può rinforzarsi l’immagine che di me ha la comunità rispetto al problema emerso? Quale sarà il mio vantaggio individuale, se partecipo alla soluzione del problema? Come si pongono i colleghi che sento più vicini rispetto al problema emerso? Se il mio sentire si discostasse dal loro, che prezzo sono disposto a pagare nell’allontanarmi dal loro pensiero? Com’è per me pormi tutte queste domande? Vale la pena che io mi faccia coinvolgere dal problema? O e meglio ignorarlo, nascondendomi nell’anonimato del contesto?

Ecco, chi si fa tutte queste domande, cui ne possono seguire diverse altre e si desse una risposta consapevole, potrebbe partecipare attivamente al miglioramento, sia di se stesso, sia della comunità in cui opera.

Invece nella maggior parte dei casi, la reazione più comune di fronte al problema è “bypassarlo”, eludendo dalla consapevolezza la ragione emotiva in base alla quale ci si schiera.

Su cento persone che compongono la scuola, nella polarizzazione “soglia-rifugio” il 90% delle persone scelgono il rifugio.  SOGLIA: mi espongo, percorro una strada nuova, mi metto in gioco, partecipo attivamente nel creare un panorama sconosciuto, per quanto piccolo; RIFUGIO: non mi espongo, utilizzo solo ciò che conosco, mi riconosco solo in ciò con cui ho già confidenza.

Facilmente succede questo: “Se mi lasciassi coinvolgere troppo da questo “problema”, segmento del sistema, sperimentando ciò che non conosco, ciò mi potrebbe portare in una zona di “scomfort” che non mi darebbe agio, addirittura mi farebbe stare male; quindi rifiuto di partecipare attivamente alla soluzione del problema, mi allontano, resisto e senza neanche bisogno di negare perchè ciò mi esporrebbe troppo, mi nascondo nell’anonimato del -politically correct-”.

Questo è uno dei motivi per cui la scuola di oggi è in difficoltà, ha perso la sua luce.

Soltanto chi possiede una luce potente dentro di sé può illuminare il contesto in cui opera.

Maria Montessori, scienziata di fama internazionale, ci ha comunicato ben 120 anni fa cosa conta davvero per crescere un bambino. Ancora oggi, con l’esclusione di pochissime realtà di eccellenza, rimane inascoltata.

Forse l’attenzione del sistema educativo andrebbe messo sul superamento della pretesa del risultato “qui ed ora” degli investimenti pubblici, superando il mero approccio in termini di ritorno elettorale.

Chi si occupa di educazione, vedi Ministri o Presidenti di Osservatori e Autorità varie in campo educativo, dovrebbe non essere condizionato dagli schieramenti, a differenza di ciò che oggi invece accade in Italia.

La politica dovrebbe essere così generosa da coinvolgere gli esperti in educazione al di là delle loro opinioni, cedendo loro reali poteri di guida.  

Don Milani, che così tanto offrì al dibattito educativo sulla funzione dell’istruzione, in particolare sulla funzione della parola per “dare le gambe” alla libertà individuale e collettiva, è morto senza essere compreso da chi allora rappresentava il mondo educativo. Son dovuti passare 50 anni dalla sua morte perché il dibattito culturale ne riprendesse le fila.

La società, sempre più complessa e difficilmente interpretabile pone oggi alla scuola sfide epocali.

Tra queste sicuramente vi è l’educazione alla consapevolezza del proprio e altrui funzionamento, per ricevere una bussola di come funzioni l’umano.  Soft e hard skill sarebbero unite in un’unica cornice, insieme allo sviluppo delle competenze, alle funzioni esecutive, al team building, alla cooperazione ed altri aspetti, per un significativo sviluppo di tutti e ciascuno. Senza parcellizzare.

Andrebbe studiato dagli esperti un quadro così ampio da contenere in un’unica “vision” le numerose e frazionate iniziative che già a migliaia si realizzano nelle scuole: educazione affettiva, prevenzione del bullismo, cyberbullismo, lotta alle discriminazioni, giornate della memoria, del ricordo, eliminazione delle varie violenze contro la donna, di genere, educazione sessuale, alla pace, sportelli d’ascolto psicologico e altri mille aspetti correlati.

Il filo rosso che collega tutti questi temi è “il funzionamento umano”.

La società evolve ma la scuola no.

L’auspicio è che i rappresentanti del servizio pubblico chiedano con coraggio agli esperti in campo educativo come poter fare per inserire nella scuola l’insegnamento del funzionamento umano, mediante un impianto neuroscientifico,  necessario oggi, non più rimandabile, ovviamente trasversale, dandogli al tempo stesso una definita identità.  

Bisognerebbe nello stesso tempo rinunciare alle pressioni politiche che in passato hanno parcellizzato percorsi unitari, offrendo in cambio segmenti conoscitivi giustapposti, spesso scollegati fra loro. I ragazzi sempre più spesso ci chiedono “Ma questo, a cosa mi serve?”.

Bisognerebbe superare infine l’unica logica che negli ultimi anni ha rappresentato il faro delle scelte politiche: garantire che non ci fossero “oneri aggiuntivi per la spesa pubblica”.

Forse, se si inserisse “l’insegnamento del funzionamento umano” rivolto ad alunni e alunne dai tre ai quindici anni, la scuola potrebbe ritrovare un po’ della luce che ha perduto.  

Non si tratterebbe di eludere i contenuti delle discipline, ma di ripensarli in una “vision” unitaria che aiuti tutti noi “cittadini terrestri” a capire un po’ di più come funzioniamo.

Del resto, la scuola, non dovrebbe essere utile alla vita?

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