Indicatori OCSE/2: le debolezze dell’Italia

Nel 2002 il 10% della popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni aveva un’istruzione universitaria e il 36% un diploma di istruzione superiore, rispetto al 23% e al 44% della media dei paesi OCSE. Tuttavia la linea di tendenza va verso un graduale avvicinamento alla media OCSE.
Nel periodo 1995-2002 il numero degli iscritti all’università è aumentato dell’8%. Alto è il tasso di rallentamento del percorso universitario e di dispersione. Di cento alunni che si iscrivono a un corso universitario di primo livello solo 23 rispetta la durata legale del corso; la media OCSE è 32, ma in alcuni paesi, come la Finlandia e l’Australia si raggiunge quota 45. L’Italia detiene inoltre il più alto tasso di abbandono degli studi universitari (59%).
I dati OCSE confermano la tendenza alla internazionalizzazione dell’istruzione universitaria. Nel 2002 l’1,9% di studenti dell’area OCSE erano iscritti in una università non del proprio paese di origine. I tre quarti hanno scelto, nell’ordine, le università americane (30%), britanniche (12%), tedesche (12%), australiane (10%) e francesi (9%); solo il 2% ha optato per le università italiane.
Inefficienze si annidano nel livello superiore dell’istruzione. Nonostante gli insegnanti italiani siano tra i meno pagati, la spesa per studente, sia di scuola primaria che secondaria, è superiore alla media OCSE, rispettivamente 6.783 e 8.258 dollari contro i 4.850 e 6.510 dollari della media. Le ragioni di questa discrepanza risiedono sia nel basso numero di alunni per insegnante (10,6 nella scuola primaria e 10,2 nella secondaria), il più basso in assoluto dei paesi OCSE (media 16,6 e 13,6), sia nel relativamente basso numero di ore insegnate (748 ore annue sempre nella scuola primaria, rispetto alle 803 della media OCSE).