Il sistema educativo italiano non è meritocratico, però produce cervelli da esportazione

I ministri non si vantano, i ministri esprimono soddisfazione e apprezzamento per il risultato di una comunità scientifica, di cui la ricercatrice Roberta D’Alessandro, come tutti gli altri, fa parte”: questa è stata la replica del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini alla lettera aperta con la quale la citata ricercatrice italiana, trapiantata in Olanda, l’aveva invitata a non “vantarsi” dei suoi risultati come di quelli ottenuti a livello europeo da altri scienziati italiani emigrati all’estero.

Giannini qualche giorno prima si era appunto congratulata con i 30 scienziati italiani vincitori di finanziamenti dell’ERC (European Research Council), compresa la D’Alessandro, considerando questo un successo dell’Italia come sistema-Paese, e non solo dei diretti interessati.

Ne è nata una polemica a più voci nella quale si sono ascoltati i consueti (e stragiustificati) lamenti contro le baronie accademiche e gli scarsi finanziamenti di cui dispone in Italia la ricerca di base, a partire da quella universitaria, cui non pochi hanno però affiancato la considerazione – sviluppata anche con efficacia da Beppe Severgnini in diverse recenti occasioni – che è comunque il sistema educativo italiano a formare i non pochi ‘cervelli’ che poi trovano all’estero le migliori opportunità per essere messi alla prova.

Riteniamo in ogni caso che in questa occasione il ministro Giannini abbia saputo collocare la questione a quel livello internazionale al quale essa va trattata in tempi di globalizzazione non solo dell’economia ma anche della ricerca scientifica. Lo ha fatto con garbo: “I ministri non si vantano di alcunché, hanno semmai il dovere, come io credo di aver fatto umilmente e gioiosamente, di felicitarsi con tutti i membri della comunità italiana. E ha fatto notare che “tutti gli studiosi sono membri di una comunità che per definizione è internazionale.

È bene dunque che i ricercatori italiani operino a quel livello. Il vero problema è invece che l’Italia è poco “attractive” per i ricercatori stranieri e anche per gli italiani che si affermano all’estero. È questo il nodo che va sciolto. Anche in Germania molti dei vincitori di finanziamenti ERC operano all’estero. La differenza è che se vogliono tornare in Germania trovano ponti d’oro ad accoglierli.