
La filiera tecnologico-professionale/4. Gli ITS sono l’ultima occasione?

Solo nel 2010 sono stati finalmente costituiti per legge (la n. 40 del 2007, secondo governo Prodi, economista industriale, da sempre favorevole alla formazione tecnica superiore) circa 60 ITS (Istituti Tecnici Superiori, biennali), che in quindicianni, pur crescendo fino a 147, hanno però diplomato poche migliaia di studenti all’anno (gli iscritti nel 2025 sono circa 12.000) restando lontanissimi dai numeri (centinaia di migliaia) registrati nelle corrispondenti istituzioni dei Paesi prima indicati.
Ecco perché lo sforzo del ministro Valditara di rilanciare gli ITS Academy dotandoli di un più consistente bacino di raccolta dell’utenza, come va considerata l’operazione 4+2 (+1), costituisce l’ennesimo tentativo di spezzare il finora imperforabile soffitto di cristallo che ha finora bloccato o costretto a numeri risibili il terziario professionalizzante italiano, e con esso la percentuale dei laureati e/o diplomati con titoli equiparabili. Con conseguenze nefaste in termini di mismatch tra domanda e offerta di lavoro (leggi la disoccupazione giovanile con il dilagare di Neet da un lato e le centinaia di migliaia di posizioni aperte nelle imprese alla ricerca di competenze introvabili, dall’altro).
Certo, il modello 4+2 (+1) andrebbe consolidato, e forse a questo scopo occorrerebbe andare oltre la legge 121/2024. Occorrerebbe che il primo tratto di questo percorso, il quadriennio iniziale, fosse agli occhi delle famiglie, che devono scegliere la scuola secondaria superiore a cui iscrivere i figli, un’opzione di pari livello qualitativo rispetto alle altre. Occorrerebbe cioè che tutti i percorsi tra la scuola media e l’università avessero la stessa durata: quattro anni. Anche qui non si scopre e non si inventa nulla – la newsletter di oggi sembra una sagra delle occasioni perdute… perché una ipotesi del genere era stata presa in considerazione nel Rapporto finale del “Gruppo ristretto di lavoro” costituito con DM 18 luglio 2001 n. 672 (nella forma di un 4+4+4), del quale facevano parte, tra gli altri, Giorgio Chiosso, Giuseppe Bertagna, Silvano Tagliagambe e Norberto Bottani. Quest’ultimo aveva raccomandato un aumento delle tipologie di “cicli corti” professionalizzanti di tre o quattro anni (un modello che assomiglia ai “campus” della legge 121/2024), presentando nel maggio 1998 il rapporto “La riforma della Scuola: i risultati del monitoraggio OCSE” in un convegno organizzato in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione nell’ambito del Forum P.A. ’98, alla presenza del ministro Luigi Berlinguer.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di ridurre a quattro la durata di tutte le tipologie di scuola secondaria superiore con l’eventuale esclusione del solo liceo classico (come avviene in Germania per il Gymnasium), generalizzando quella che per ora è una sperimentazione riservata a un numero limitato ma comunque non irrilevante di istituti (240 nel 2024).
Ma per voltare finalmente pagina servirebbe un impegno convergente di tutta la classe dirigente del Paese – politici, sindacati e imprenditori – a sostegno di un progetto condiviso di riqualificazione di tutta l’istruzione secondaria: un anno in meno (mantenendo gli organici, per aggiungere laboratori e “qualità” nell’ambito di quadri orari rafforzati) e una marcia in più. Puntando anche sul contributo che può venire da un efficace sistema di certificazione delle competenze, avvalendosi dell’alleanza dell’istruzione non formale (nell’ambito di una sinergica Union of skills). Una convergenza complessiva necessaria per cambiare davvero, ma che finora in Italia si è verificata in ben rare occasioni. Bisognerebbe avere il coraggio (e la visione) di discuterne seriamente e senza pregiudizi. Il mismatch non perdona, fiaccando la competitività del Paese e limitandone la crescita.
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