Famiglia nel bosco, Novara: ‘I figli non appartengono ai genitori’
La vicenda della famiglia nel bosco di cui i minori sono stati allontanati su disposizione dell’autorità giudiziaria – con l’inserimento in una casa famiglia insieme alla madre – continua a suscitare interrogativi sul confine tra responsabilità genitoriale, intervento pubblico e diritti dei minori. Un caso che, al di là dell’emotività del momento, ha richiamato l’attenzione di pedagogisti, magistrati e operatori sociali. Tra loro Daniele Novara, che invita a una lettura complessiva e profondamente educativa degli eventi.
Il principio di fondo: i figli non sono proprietà
Per Novara, il punto di partenza è netto. «La prima riflessione riguarda un principio fondamentale: i figli non appartengono ai genitori. Considerarli una proprietà è visione arcaica, possessiva e priva di validità antropologica, etica e civile». Una sottolineatura che richiama la normativa italiana – dalla Costituzione alla legge 149/2001 – nel ribadire che la responsabilità genitoriale non è un diritto assoluto, ma una funzione orientata al benessere del minore.
Lo stesso pedagogista precisa: «I genitori restano certamente i titolari di base e prioritari dell’educazione dei figli (…) ma questo non significa esercitare un diritto assoluto e incondizionato».
Da qui il richiamo alla dimensione collettiva della tutela: «La nostra giurisdizione ha sempre riconosciuto come inaccettabili comportamenti quali maltrattamenti, abusi, violenze… Esiste una responsabilità individuale dei genitori, ma esiste anche una responsabilità collettiva esercitata attraverso le istituzioni della società».
Il ruolo delle istituzioni: un limite necessario
Il secondo punto riguarda proprio la funzione regolatrice dello Stato nei confronti dei minori. Novara osserva che «nessuna famiglia può pensare di agire al di fuori del quadro di regole stabilito dallo Stato per proteggere i cittadini più piccoli e fragili».
Una posizione che riecheggia la centralità dei servizi sociali e sanitari, spesso chiamati a intervenire in contesti delicati, dove la valutazione del rischio non è mai semplice.
La tutela, ricorda il pedagogista, non è un’ingerenza ma una garanzia: «È un limite necessario, fondato su un principio di civiltà per il quale il benessere dei minori viene prima di qualsiasi volontà arbitraria degli adulti».
Bambini poco presenti nel discorso pubblico
La riflessione più amara riguarda però il quadro complessivo. Per Novara la protezione pubblica dell’infanzia si è indebolita negli ultimi anni, non solo sul piano dei servizi ma anche sul piano culturale.
«Bambine e bambini sono raramente al centro del pensiero collettivo, se non nei casi più estremi», afferma. E avverte: «Con troppa leggerezza, ci stiamo dimenticando del loro diritto al gioco, al pensiero magico, al contatto con la natura, alla mobilità spontanea nelle città, alla socialità fra pari, all’istruzione».
Una lista che richiama direttamente scuola e comunità educante, spesso lasciate sole nel gestire fragilità crescenti. Il rischio, spiega, è abituarsi a un’infanzia compressa, segnata dalla mediazione degli schermi e dalla riduzione degli spazi di autonomia.
«Stiamo trascurando un’educazione che li aiuti a vivere nel mondo reale (…) e non soltanto dietro uno schermo», ricorda.
Un segnale da non ignorare
Pur nella prudenza necessaria su un caso ancora in evoluzione, Novara riconosce che ogni intervento istituzionale volto alla protezione dei minori rappresenta un cambio di passo: «Ogni segnale di attenzione istituzionale rivolto alla tutela dei bambini (…) rappresenta un momento importante. È un’inversione di tendenza rispetto alla sostanziale indifferenza che grava da anni sulla vita dei più piccoli».
Da qui l’appello finale: «Ritengo fondamentale che si torni a discutere, seriamente, del confine legittimo nelle relazioni tra genitori e figli e della natura benevola o potenzialmente lesiva di tali relazioni. È un’occasione preziosa, da non sprecare».
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