Esami … all’italiana. Considerazioni sugli Esami di Stato dell’Istruzione Secondaria di Secondo Grado

Dal nostro lettore Graziano Finotto, dirigente scolastico del Liceo Scientifico “Galilei” di San Donà di Piave (VE), riceviamo una articolata e originale analisi critica sul modello di esame di maturità attualmente adottato in Italia. I lettori interessati all’argomento possono inviarci i loro contributi scrivendoci come di consueto a botta_e_risposta@tuttoscuola.com.

 

Premessa

Premesso che …”  Non c’è in Italia testo o discorso degno di considerazione che non inizi con una bella premessa. Gli addetti ai lavori (MIUR, insegnanti e dirigenti scolastici), dato che dovrebbero conoscere l’argomento in oggetto possono tranquillamente “bypassarla” e andare ai punti successivi. Per tutti gli altri è un impegno che si risolve in poco tempo e che consentirà di comprendere meglio il prosieguo del ragionamento.

Il percorso dell’Istruzione Secondaria di Secondo Grado prevede a conclusione del ciclo quinquennale un “Esame di Stato” il cui superamento è indispensabile al conseguimento del Diploma. Tale diploma esprime una valutazione dell’allievo in centesimi. In sostanza, dopo cinque anni di superiori, il tuo voto finale è X/100; tutto il resto conta poco o niente.

Quest’ultimo è dato dalla somma di alcune componenti: il credito scolastico (25 punti accumulati nel triennio) i risultati delle prove scritte d’esame (complessivamente 45 punti, ovvero15 per ognuna delle tre prove), i risultati della prova orale (30 punti previsti per il colloquio).

LE CRITICITA’

Un primo elemento di criticità in questo sistema di valutazione è presto evidenziato: gli oltre 1000 giorni trascorsi dallo studente  sui banchi di scuola (200 giorni per cinque anni), le centinaia di compiti e interrogazioni, la fatica dello studio e delle relazioni con gli insegnanti, valgono solo un quarto del voto finale. Pazzesco!

A fronte delle 5000 ore di scuola (999 ore per cinque anni) che valgono la bellezza di 25 punti, osserviamo che il peso maggiore della valutazione (ben 45 punti!) è assegnato a tre (dicansi tre!) prove scritte, della durata media complessiva di circa 15 ore, (nel liceo classico 6 + 4 + 3 – nel liceo scientifico 6 + 6 + 3 – negli istituti tecnici 6 + 8 + 4, eccetera) che danno quasi il doppio del punteggio maturato in cinque anni di scuola. Si guardi la proporzione:

5000 : 25  =  15 : 45

Si dirà: “ma la prova è nazionale”, uguale per tutti (nei diversi ordini superiori) e quindi dimostrativa. Ergo: 15 ore = 45 punti; 5000 ore (peraltro costate una fortuna allo Stato, ossia alla collettività, ossia a tutti noi)  = 25.

Ma di cosa sono dimostrative le tre prove che forniscono ben 45 punti? La risposta a questo quesito evidenzia il secondo elemento di criticità. La Prima prova, lo scritto d’Italiano, dimostra solo ciò che la commissione, o meglio il docente di italiano, che, all’interno della commissione, è spesso l’unico insegnante di materia, vuole vedere! Talvolta costui viene affiancato nella correzione da altri insegnanti (di area umanistica) che per tutto l’anno, per tutti gli anni in cui hanno insegnato, hanno fatto tutt’altra cosa, ma che, sul finire di giugno, possono, se lo vogliono (ma, date le premesse, speriamo di no!) affiancare il collega nella correzione degli elaborati scritti.

Tutti speriamo che, mentre l’insegnante di italiano corregge la prima prova, e quello della  materia di indirizzo la Seconda, gli altri siano impegnati con altro: tesine, verbali, documenti, riflessioni sull’anno trascorso, caffè e brioches, programmi per le prossime vacanze,  perché più si “impicciano” di cose che non sanno maggiore danno fanno.

Ora, se le cose sono così (e sulla base della mia lunga esperienza posso dire che sono così), la Prima prova dimostra solo ciò che l’insegnante di italiano, vuole dimostrare, ossia niente di oggettivo!

Ma, si dirà,  per fortuna che c’è la Seconda prova, e questa sì, dimostra! Consideriamo Matematica nei licei scientifici o Greco o Latino nei licei classici: qui ci sono dati certi e non opinioni. Ma è sul serio così?

Assumiamo a titolo d’esempio la prova di Matematica. Il problema o il quesito danno  un risultato inequivocabile, certo. Di conseguenza per correggere un compito di matematica basta guardare il risultato finale che sarà giusto o sbagliato. Operazione che per sei esercizi dovrebbe richiedere uno o al massimo due minuti, così che il tempo complessivo della correzione dovrebbe essere di circa mezz’ora per classe.

Nella realtà non è così. Per correggere la prova di matematica occorrono ore. Perché? Dovremmo ipotizzare che il docente non sia in grado di correggere (cosa da non escludere a priori) oppure dobbiamo ammmettere che la correzione, e di conseguenza la valutazione non siano oggettive, per il fatto che l’insegnante non prende in considerazione solo il risultato finale, ma anche i passaggi intermedi: la sua valutazione da oggettiva diventa soggettiva. Ergo: anche la seconda prova, il pilastro centrale su cui qualcuno vorrebbe si reggesse l’Esame di Stato, non si iscrive a buon diritto nell’orizzonte dell’epistéme ma della doxa e ciò ci porta a concludere che  30 dei 100 punti attribuibili al candidato vengono  lasciati all’opinione di due insegnanti che valutano, nella loro soggettività, l’intero percorso scolastico.

Ma non è finita. Terza prova e Colloquio riescono a fare di peggio.

La Terza prova non ha carattere nazionale (definito e uguale per tutti) e quindi rientra nell’arbitrarietà. Ogni commissione si sceglie la sua, mettendo insieme quattro e più materie con 10 e più domande dalla struttura apparentemente definita. Ogni commissario formula le domande che vuole e corregge poi le relative risposte (ve l’immaginate quale membro della commissione potrebbe correggere risposte in lingua straniera o di ambito specialistico, come topografia, elettrotecnica, eccetera, se non il docente titolato a farlo). Alla fine si mescolano i risultati e si ottiene un cocktail. Se il barman e gli ingredienti sono di qualità il cocktail è ottimo, altrimenti buono, solo sufficiente o addirittura sgradevole. Al cliente (gli studenti) la scelta: berlo oppure no, in ogni caso il conto si paga.

Risolto il rito della Terza prova, nella sua pomposità legata più o meno al protagonismo di presidenti e commissari, che finalmente possono “dire la loro”, ma che alla fine nulla dimostra, anzi spesso contraddice il lavoro di anni di insegnamento (le Terze prove hanno i risultati peggiori delle prove scritte), arriviamo al Colloquio: il regno della mistificazione.

Il Colloquio assegna allo studente 30 punti. In un’ora (che in realtà si riduce a molto meno) vengono attribuiti più punti di quelli che corrispondono all’intero percorso di studi superiori. Ricordiamo la proporzione iniziale : 5000 ore di lezione danno diritto a un massimo di 25 punti, mentre in meno di un’ora lo studente se ne gioca 30. La “Rambo” commissione, da sola, fa piazza pulita di tutti glisceriffi/insegnanti della contea/scuola, della disciplina dell’esercito russoal completo, dei tatticismi di quello vietnamita. Bastano un coltello/tesinatuttofare, un arco/domandina miracoloso per eliminare POF/elicotteri superdotati delle più avanzate tecnologie. Come?

Semplice, lasciando che lo studente esponga la sua “introduzione” al colloquio (talvolta scaricata integralmente da Internet o composta usufruendo del copia/incolla) e discutendo, alla fine del colloquio, delle prove scritte (le cui soluzioni sono state pubblicate su tutti i giornali – anche se gli studenti le trovano prima sul Web) che a quel punto rappresentano la preistoria per coloro che fanno l’orale a conclusione della sessione.

Resta la mezz’ora “clou”, quella degli “interventi” dei sei commissari che hanno a disposizione 5 minuti a testa, spesso sprecati in domande a cui gli studenti potrebbero rispondere: “sono d’accordo“, “è una possibilità“, “ritengo sia proprio così“, dato che rappresentano la autoreferenzialità tipica dell’insegnante. Negli altri casi, a domanda generica si dà risposta generica, a domanda precisa si dà risposta precisa. Se non si sa, basta dire: “non ricordo“, “questo argomento non l’abbiamo trattato“, “questo argomento l’abbiamo trattato superficialmente o di sfuggita“, eccetera.

In sostanza, salvo qualche eccellenza e qualche exploit imprevisto, il colloquio non dimostra alcunché, salvo, nella sua soggettività ed estemporaneità, il fallimento dell’Esame di Stato comeprova che vuole dimostrare qualcosa.

E tutto questo, ogni anno, per circa 400-500.000 studenti. Se il Ministero prendesse una tangente dall’industria cinematografica (che ci fa film di cassetta) per mantenerlo in vita nella forma odierna, sarebbe comprensibile. Negli altri casi dubito.

I MITI

Tra i miti che animano l’immaginario relativo alla scuola, quello forse più duraturo è la collegialità. Ebbene, a mio parere non esiste! È una mistificazione. Al cinema, in tv, in letteratura possiamo parlare di Dracula, dei fantasmi, di E.T. e degli alieni, di Lochness e deltriangolo delle Bermude. Ma guai se chi possiede il potere legislativo confonde la realtà con simili categorie. E proprio come le proiezioni della nostra fantasia, la collegialità nell’esame di Stato (e nella scuola) non esiste: nella nostra scuola non può esistere!.

Metti intorno a un tavolo un politico, un banchiere, un industriale, un sindacalista: non puoi parlare di collegialità solo perché sono seduti lì, in quanto rappresentano punti di vista ed esperienze diverse: possono dialogare,  ma ognuno ha la sua specificità e alla fine non esprimono una decisione comune tramite un voto,  al massimo sottoscrivono degli accordi: lo stesso deve valere per le commissioni d’esame: non possono votare, perché ogni voto rappresenta la specificità di colui che lo assegna. Perciò il voto del compito di italiano va attribuito dall’insegnante che di fatto lo gestisce, ossia quello di italiano, così come il voto relativo alla prova di ogni singola materia va attribuito dall’insegnante di materia (che di fatto lo gestisce).

Infine la “terza prova” venga sostituita con una verifica diversamente concepita e al colloquio venga data solo funzione integrativa: corrisponda a X punti da aggiungere al punteggio maturato dal candidato, con un’operazione simile all’odierna attribuzione delbonus.

Se l’esame di stato acquisisce l’habitus di una vuota ritualità per quanto riguarda la valutazione degli studenti, non molto diversa è la prospettiva degli insegnanti, a cominciare dalla formazione preparatoria. Ogni riforma che si rispetti deve essere spiegata e preparata e in tal senso imponente è stato lo sforzo per l’Esame di Stato, dalla sua istituzione ad oggi, da parte del Ministero. Ma ripetere, a 15 anni dall’avvio della riforma, le Conferenze di Servizio per tutti, docenti attempati a un passo dal pensionamento e nuove leve, per spiegare per l’ennesima volta come funziona l’esame, è una persecuzione, è la plastica evidenza della scarsa considerazione intellettuale di cui godiamo. Si facciano queste operazioni obbligatoriamente per i nuovi, e su base volontaria per chi ne avverte l’esigenza, e si taglino quindi i fondi destinati all’operazione. Si vedrà che, spariti i fondi, sparirà anche l’esigenza di “aggiornare” i docenti per l’ennesima volta.

LE IPOCRISIE

L’Esame di Stato sembra essere dominato da un’ “ipocrisia istituzionalizzata” già nelle fasi che lo precedono: per essere ammesso all’esame lo studente, allo scrutinio finale di quinta, deve avere la sufficienza in tutte le materie.

Se noi guardassimo i voti dello scrutinio del primo quadrimestre almeno un terzo degli allievi non sarebbe ammesso. Per fortuna a Pasqua c’è la “resurrezione” e “miracolosamente” molte insufficienze risultano sanate, anche per la consapevolezza degli insegnanti (che alcune responsabilità hanno per altri aspetti) sulle reali possibilità dell’allievo.

A giugno il miracolo si completa: in sede di scrutinio il Consiglio di classe riduce alla ragione i docenti più riottosi, quelli che fino alla fine hanno insistito nel dire che nella loro materia la sufficienza non c’era, e che al suo posto c’era un cinque o addirittura quattro. Come si sa in democrazia la maggioranza vince. Ma c’è realmente bisogno dell’ipocrita trasformazione dei cinque in sei? Sul tabellone gli alunni sono tutti sufficienti, dunque  tutti ammessi! Che può fare una commissione d’esame che riceve un tale quadro, per di più composta per metà dagli stessi insegnanti che l’hanno stilato, se non promuovere tutti, al più aggiustando i voti? Se vieni bocciato all’esame di Stato non sei un incapace! Sei uno sfigato!

Ma all’apparente rigore nella fase dell’ammissione corrisponde poi un esame serio? Certamente non nei meccanismi istituzionali, peggio ancora nella loro applicazione pratica.

Cerchiamo di svelare la perversione di alcuni aspetti “contabili”. Si può superare l’Esame di Stato senza aver fatto una sola prova sufficiente! Impossibile, direte voi. Possibilissimo dimostro io. Se un allievo è insufficiente nelle tre prove scritte, prendendo 9/15  in ciascuna di esse, mentre la sufficienza è stata posta dalla norma a 10/15 (non si sa in base a quale criterio) totalizza 27 punti. Se anche nel colloquio lo studente risulta insufficiente con 19/30 (ove la sufficienza è stata posta a 20/30) raggiunge quota 46. Aggiungendo a questi ultimi una quindicina di punti di credito scolastico, che praticamente tutti gli studenti superano, dato che per essere promossi/ammessi tutte le insufficienze scompaiono e anche il voto di condotta concorre a determinare la media, il miracolo è avvenuto: quota 60 è raggiunta e superata, il Diploma conquistato, l’esame, nella sua pompa solenne, archiviato. D’altra parte la storia insegna: circa mezzo secolo fa, non si dichiarava forse l’Italia una potenza mondiale, disponendo di 8 milioni di baionette? Sappiamo com’è finita.

Qualcuno ci può dire quanto “ci” (a noi cittadini) costa questa farsa che chiamiamo “Esame di Stato”? Si tratta dell’ennesimo spreco nell’Italia degli sprechi! Troppi hanno rilevato che così com’è si può tranquillamente abolire. Non lo si fa semplicemente perché si toglierebbe l’ultima foglia a una nudità che non sempre è bella da vedere.

Ma per non giocare semplicemente agli sfascia barile, vediamo cosa si potrebbe fare per migliorare l’esistente, in attesa di riforme più radicali.

LA PROPOSTA

Sicuramente ci saranno ipotesi più interessanti, ma aspettando una rivoluzione che non verrà, una “piccola riforma” potrebbe essere realizzata semplicemente a livello ministeriale.

Facciamo innanzitutto un po’ di chiarezza: nella scuola italiana la didattica si costruisce sulla base della consuetudine, è determinata dal Ministero (leggasi Regolamenti, come quello riguardante la Riforma, gli Esami di Stato, ecc.), viene elaborata nella dimensione della collegialità presente nelle istituzioni scolastiche (collegio dei docenti, consigli di classe) e infine è operativamente gestita dall’insegnante, che entra nell’aula e chiude la porta.

Da quel momento è lui il titolare dell’azione didatticaè lui che decide cosa insegnare, come, quanto e quando farlo; é lui che decide quali e quante verifiche effettuare, come e quando somministrarle, e infine è lui che decide le valutazioni, ossia assegna i voti.

Questa sua responsabilità esclusiva resta tale per tutto l’anno scolastico, salvo al momento dello scrutinio, soprattutto di quellofinale, allorché il docente si presenta in Consiglio con una “proposta di voto”, che la collegialità può modificare, per “aggiustare” la media dell’alunno, per correggere valutazioni troppo difformi dalla media che si registra in altre classi, ma soprattutto per poter promuovere chi, altrimenti, dovrebbe avere la sospensione del giudizio, o addirittura lanon ammissione. In taluni casi il prof. accetta, seppur controvoglia, la decisione altrui, che rappresenta la negazione del suo operato o del suo “essere”, in altri ci sono litigi e discussioni a non finire, con inevitabili tensioni a livello personale.

Mi chiedo in base a quale motivazione si faccia tutto questo; dopo averne vagliato molte, ho ristretto la rosa a due:

  • la speranza che miracolosamente l’allievo “risorga” (prima o poi) e ottenga un risultato positivo in quella specifica materia (speranza di difficile attuazione);
  • la consapevolezza che una parte degli insegnanti, percentualmente modesta, ma numericamente consistente, presenta nel suo operare lacune che hanno ricadute pesanti sulle valutazioni degli allievi: in tal caso il Consiglio, “che sa”, corregge il tiro.

Io non credo comunque sia questa la soluzione da perseguire. Se togliessimo l’alibi della collegialità obbligheremmo ogni docente ad assumersi in prima persona la responsabilità delle sue valutazioni, e in definitiva del suo operato.

            Si sia pertanto conseguenti. Il voto lo assegni il docente, in classe e in Consiglio, e se 5 (o 4) ha da essere, 5 (o 4) sia, anche in pagella. Al Consiglio di classe resti il compito di stabile l’ammissione (o no!) alla classe successiva, come all’Esame di Stato (si faceva così fino a due o tre anni fa e tutto era almeno più chiaro). La pagella a quel punto sarebbe la dimostrazione di un reale percorso scolastico. “Sono stato sempre promosso, anche con 4 in latino”, perché il “latino non mi piaceva”, o “ho trovato un insegnante che non è riuscito a farmelo piacere”, oppure “ho trovato un insegnante con cui non c’era feeling. Sarà anche più semplice a quel punto, soprattutto se mezza classe è insufficiente in latino e insoddisfatta delle valutazioni in questa materia stabilire se sono “sbagliati” gli allievi (effettivamente potrebbero aver sbagliato la scelta della scuola) o se è “sbagliato” (nel senso che sbaglia) il professore.

Promossi quindi! Ma le insufficienze restino insufficienze.

PROPOSTA PER L’ESAME

Premessa (con lo spirito di cui all’inizio): teniamo ferma la valutazione in centesimi (e lode) ponendo 60 come voto minimo (altrimenti complichiamo ancor più le cose); teniamo ferma l’attribuzione del credito scolastico (nel secondo biennio o nei bienni – dato che il quinto anno, a riforma compiuta, dovrebbe aver valore orientativo)

VALUTAZIONE

Totale credito scolastico 40:  20 punti in terza, 20 punti in quarta – o 10 punti per ognuno dei quattro anni (c’è una logica in ognuna delle due ipotesi ma non voglio dilungarmici).

Prima prova di competenza linguistica – lingua madre. Prova nazionale con Punti 10, dalla durata massima di quattro ore (mediamente nel corso degli anni scolastici la prova d’italiano scritta è dalla durata di due-tre ore) con valutazione imperniata sulle competenze linguistiche, più che sui contenuti, maggiormente opinabili.

Seconda prova su competenze specialistiche. Prova nazionale diversa per ordinamenti come l’attuale seconda prova. Durata massima dalle quattro alle sei ore. Punteggio massimo di 15 punti.

Terza prova su competenze settoriali. Prova nazionale diversa per ordinamenti. Sostituisce l’attuale terza prova. Di carattere “oggettivo” (risposte chiuse), la prova ha una durata massima tra le due e le tre ore. Punteggio massimo di 15 punti.

Terza prova bis. Prova nazionale sulle competenze linguistiche in una lingua straniera, potremmo dire l’inglese, da svolgersi alla fine della terza prova, e della durata di 60-100 minuti. Si tratta di una prova strutturata che fornisce un punteggio massimo di 5 punti.

Colloquio conclusivo, finalizzato a verificare le competenzeacquisite nel percorso di studi, relativo a un argomento multidisciplinare (NO pluridisciplinare!) sviluppato dallo studente e quindi a tema (sul tipo dell’esposizione della tesi di laurea all’università). La durata del colloquio è più o meno come l’attuale, il punteggio massimo è di 15 punti.

Il credito scolastico viene assegnato dalla scuola sulla base delle valutazioni e di ogni altro elemento (credito formativo) conosciuto (e non solo documentato) dall’Istituto – con la possibilità quindi di andare oltre la fascia dettata dalla media delle valutazioni.

Il voto della prima prova, lingua madre (punti 10), viene assegnato dall’insegnante di materia.

Il voto della seconda prova (specialistica), punti 15, viene assegnato dall’insegnante di materia.

Il voto della terza prova (settoriale), punti 15, viene assegnato con parametri oggettivi previa correzione su griglia nazionale (e quindi tutti gli insegnanti possono correggere la terza prova).

Il voto della terza prova di lingua straniera (punti 5) viene assegnato dall’insegnante di lingua straniera.

Il voto del colloquio conclusivo, punti 15, viene assegnato dalla commissione.

COMMISSARI INTERNI – ESTERNI

Le commissioni possono essere lasciate così come sono, con la presenza di insegnanti  interni ed esterni, lasciando per questi ultimi solo il vincolo del raggio massimo entro il quale chiedere la destinazione, superando quello anacronistico di province e regioni (io abito a 5 km dalla provincia vicina ma a 80 dal limite estremo della mia … ). Si dia dignità al disagio della trasferta per gli esterni, anche eliminando l’indennità dei commissari interni. A tal proposito, se sono in servizio non si capisce perché devono essere pagati di più per quello che è loro dovere fare. D’altra parte è sempre stato così per gli insegnanti della scuola media di primo grado: gli insegnanti della superiore sono forse più uguali dei loro colleghi?

In questi anni di vacche magre, destinati a durare a lungo, forse non sarebbe disdicevole ricordare ai docenti che al di fuori dei periodi di ferie sono (sarebbero) a tutti gli effetti in servizio. Se i docenti interni fanno gli esami di Stato, i non impegnati potrebbero fare le attività di recupero e, in epoca di spending review, senza compensi aggiuntivi (“sono pagato per stare a casa, per cui se vado a fare un’ora di recupero ai miei allievi insufficienti mi devi pagare extra” – non capisco questo ragionamento e non credo che lo capisca neanche l’Europa).

Sono convinto che, messi di fronte a questa prospettiva, molti insegnanti si interrogherebbero di più sui risultati del loro operato. Le scuole ne trarrebbero grande giovamento, sicuramente superiore a quella deresponsabilizzazione per cui si danno sempre le colpe agli altri: gli studenti, le famiglie, la società, la politica e chi più ne ha più ne metta.

I PRESIDENTI

I presidenti delle commissioni, avendo un ruolo di organizzazione e di controllo, devono essere super partes, e quindi Dirigenti Scolastici di Scuola Superiore (solo eccezionalmente docenti, scelti tra coloro che svolgono le funzioni di collaboratori del dirigente scolastico, garanzia minima di affidabilità nella gestione – così come garanzia minima è la conoscenza dell’ordinamento scolastico di servizio: non condivido l’assurda posizione sindacale che ha permesso ai colleghi delle scuole medie di lasciare i loro istituti [a chi?] per fare gli Esami alle superiori. Se c’è una ratio non l’ho trovata). Non ne serve uno per commissione. Non devono essere tuttologi, che sanno di tutto e di più (cosa assai ardua da dimostrare)… La loro funzione è quella digestire (basta con le mistificazioni del coordinare) l’esame. Per fare questo ne basta uno per Istituto (se dimensionato). Il risparmio che deriverebbe da questa nuova organizzazione non sarebbe forse di grande entità, ma sicuramente ci sarebbe, e un esame così concepito non darebbe risultati peggiori di quanto visto negli ultimi anni.

Mi fermo qui. Credo comunque quanto detto sia più di un sasso nello stagno.