Esame di Stato secondo ciclo in era COVID: formula stabile?

di Tiziana Rossi

La formula dell’esame di Stato del secondo ciclo – edizioni 2020 e 2021 senza significative variazioni sul tema tra le due annate – in ‘salsa’ Covid19 è divisiva. Niente scritti, assegnazione entro il 30 Aprile di un elaborato incentrato sulle discipline caratterizzanti l’indirizzo, analisi di un testo di Letteratura italiana, PCTO e valorizzazione del curriculum dello studente, ‘materiale’ interdisciplinare – ovvero spunto a partire dal quale sviluppare il colloquio, possibilmente in dialogo interlocutorio tra i saperi. Il tutto valutato in 60esimi grazie a una griglia nazionale centralizzata. Questa la ricetta, a qualcuno gradita, ad altri no, da pochi compiutamente analizzata al di là della mera logica emergenziale.

Se parte del mondo scuola tuona contro la formula ‘snellita’ , ritenendo del tutto irrisoria e appiattente – monodimensionale in qualche modo – la valutazione centrata su un’unica prova orale, è pur vero che a un’analisi meno settaria e manichea, le scelte del legislatore appaiono in linea con una serie di dispositivi potenzialmente innovativi messi in campo negli ultimi dieci anni.

Anzitutto il richiamo costante alla interdisciplinarietà, già a partire dall’elaborato assegnato dai docenti del consiglio di classe entro il 30 aprile: significativa novità di quest’anno rispetto allo scorso, esso parte dalle discipline caratterizzanti (e qui si esauriva nel 2020), ma è altresì “integrato, in una prospettiva multidisciplinare, dagli apporti di altre discipline o competenze individuali presenti nel curriculum dello studente, e dell’esperienza di PCTO… tenendo conto del percorso personale”. Trovano qui spazio concetti chiave dell’innovazione scolastica a suon di Riforme degli ultimi venti anni: il curricolo per competenze e non per saperi dogmaticamente prescritti da “programmi ministeriali”, il dialogo costante tra i saperi, l’alternanza scuola-lavoro (ovvero i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, PCTO in sigla) come metodologia attiva incentrata sul soggetto che apprende risolvendo sfide, problemi in contesti situati fuori e dentro l’aula, evocando e mobilitando i saperi in funzione di temi reali, siano essi prototipi industriali o artefatti culturali, ipotesi scientifiche, dibattiti sociali da dirimere. E poi la personalizzazione: individualizzazione e personalizzazione ormai da tempo sono assurti a diritto per tutti, ben oltre i progetti personalizzati ai sensi della legge 104 e 170. Questi due cardini dicono di percorsi adattati agli stili apprenditivi e ai talenti multipli, ai tempi e ai ritmi della persona, come vie diverse per i medesimi scopi (individualizzazione), ovvero della facoltà di apprendere anche cose diverse, in risposta ai bisogni e alle aspirazioni della persona intesa come unicità (personalizzazione). La Riforma 2017-2019 degli istituti professionali – tanto per citare l’ultimo “rimaneggiamento” alla Riforma ordinamentale del 2019 – va esattamente in questa direzione, sottoscrivendo la necessità della formulazione di un progetto formativo individuale per ogni studente, flessibile e adattato al pregresso, privilegio già dal 2012 riconosciuto al mondo della formazione adulta all’insegna del diritto al riconoscimento e alla validazione di quello che già si sa e si sa fare, siano i saperi pregressi formali, non formali o informali.

Il tema è ulteriormente ‘stressato’ dal varo definitivo del modello di “curriculum dello studente” legiferato in Agosto 2020 e per la prima volta applicato quest’anno. Il documento accompagna il certificato di diploma e lo studente stesso è stato chiamato negli scorsi mesi a dichiarare i percorsi di alternanza, le certificazioni linguistiche e informatiche, le attività di volontariato, le aree di interesse messe in campo, in una sorta di bilancio di competenze che inserisce a sistema in SIDI, il sistema informativo del Ministero. Una esaltazione dell’autonomia e della responsabilità dello studente stesso e un’occasione di accompagnamento e mentoring per le scuole  per l’autoanalisi e il bilancio delle competenze acquisite, anche in ottica di orientamento permanente alle scelte future di studio e di lavoro.

Potenzialmente questi dispositivi rilanciano il ruolo attivo della scuola come centro di job placement, in rete con CPIA, Agenzia del Lavoro, Centro Territoriali per l’impegno, Anpal, in ottica sussidiaria e di sostegno anche oltre la siepe, il traguardo della ‘maturità’.

Il lavoro futuro nelle scuole, quindi, è a un bivio: collazionare testi e materiali di spunto per il colloquio, che talvolta improvvisano in malintesa accezione una interdisciplinarità posticcia e fattizia, ovvero promuovere un curricolo dell’oralità tra le discipline per temi e per problemi dalla classe terza almeno.

Lo spazio è tutto alla stimolazione del dibattito su temi culturali divisivi, anche a partire dagli interessi culturali degli studenti, esercitandoli al public speaking e al debate anche online e valorizzando al massimo le potenzialità delle tecnologie nei piccoli gruppi delle ‘breakout rooms’, imposte dalla DAD e validissime in questa specifica accezione. Lo spazio è, ancora, alla rilettura ragionata e meditata delle esperienze di alternanza, proponendo stimoli che colgano la continuità nella discontinuità delle varie esperienze, nel disegno complessivo che la persona traccia attraverso le varie occasioni di fruizione culturale: la scuola dà la regia e la centralità e l’intenzionalità del progetto (ha attori competenti, i docenti, che possono farlo), ma – da tempo ormai – non è l’unica agenzia di apprendimento.

In sintesi: l’Esame riformato per necessità può essere occasione per innovare ponendo al centro la persona e le sue competenze in un disegno complessivo che valuti la sua capacità di mobilitare le conoscenze per rispondere alle sfide del mondo contemporaneo in contesti situati, anche non noti e non piatti e standardizzati, ma ritagliati sui suoi interessi e passioni.

Se la scuola saprà farlo, dimostrerà resilienza e capacità di superare gli ostacoli, trasformando la tragedia sanitaria e sociale che abbiamo vissuta – e dalla quale speriamo di uscire trasformati in meglio – in una ripartenza di riscatto culturale.    

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