
Elezioni europee/1. La scuola assente
Tutto si può dire della campagna elettorale che ci ha accompagnati alle elezioni europee del 6 e 7 giugno 2009 tranne che essa si sia occupata di Europa.
Non è accaduto solo in Italia: praticamente ovunque in Europa, perfino nei Paesi che ne hanno saputo trarre i maggiori benefici in passato (come l’Irlanda o la Spagna), o in quelli di più recente adesione, che dovrebbero in maggiore misura beneficiare degli interventi in favore delle aree sottosviluppate, si è parlato molto poco del Parlamento europeo da eleggere, della UE, dell’Europa come soggetto politico, capace di influire sulla qualità della vita dei cittadini europei.
La crisi finanziaria esplosa nell’ultimo anno in tutto il mondo, con le sue conseguenze negative sullo sviluppo economico e sui livelli occupazionali delle nazioni, ha fatto perdere di vista il quadro internazionale, e il confronto elettorale si è svolto dappertutto su questioni di politica interna, con particolare attenzione per le tematiche legate alla sicurezza, alla difesa dei posti di lavoro e al welfare. E con preoccupanti pulsioni di tipo xenofobo.
Così è stato anche in Italia, con un sovrappiù di aspre polemiche di carattere politico-mediatico che hanno riguardato temi generalissimi, e che quasi mai hanno preso in considerazione il settore dell’istruzione. I leader dei maggiori partiti non ne hanno quasi mai parlato, e il dibattito su scuola, università e ricerca è rimasto confinato in uno spazio diverso e minore, uno spazio per addetti ai lavori. Che si parlano tra di loro, anche in modo appassionato, senza riuscire a farsi ascoltare fuori del loro recinto. Eppure il traguardo del 2010, fissato a Lisbona per gli obiettivi strategici dell’Europa della conoscenza, è molto vicino.
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