Elezioni 2008: un quadro politico profondamente cambiato

A distanza di una settimana è possibile cogliere con maggiore chiarezza gli elementi essenziali del doppio terremoto che ha profondamente cambiato il panorama della politica italiana: il cambio di maggioranza e la scomparsa  in Parlamento della sinistra cosiddetta radicale.

Il verdetto delle elezioni del 13-14 aprile 2008 è stato chiaro: tra i due partiti “a vocazione maggioritaria” gli elettori italiani hanno scelto il PDL di Silvio Berlusconi (alleato alla Lega Nord), e nello stesso tempo hanno dato una indicazione precisa e decisa in favore della semplificazione del sistema politico, penalizzando i partiti minori che si collocavano o alla destra o alla sinistra delle due formazioni maggiori. Solo l’UDC, tra i partiti minori, avrà rappresentanza parlamentare, ma non tale da poter svolgere quella funzione di ago della bilancia che era forse nelle sue aspettative nel caso che dalle urne fosse scaturito il “pareggio”. Che non c’è stato.

Ha sorpreso, perché drastica e inattesa, la débacle della “sinistra radicale”, che nella breve XV legislatura aveva avuto una notevole forza parlamentare (attorno al 10%), trovando nel settore dell’istruzione un suo punto di forza, sia per le politiche (si pensi alla vicenda del precariato), sia per la rappresentanza istituzionale, con la presidenza della commissione Cultura della Camera assegnata a Pietro Folena (PRC), e la vicepresidenza ad Alba Sasso (ex sinistra DS), entrambi esclusi dal nuovo Parlamento.

Restano in campo, in pratica, solo le due aggregazioni politiche maggiori, e ciò segna il passaggio da un sistema bipolare, che comportava la formazione di coalizioni vastissime ma assai eterogenee e contraddittorie, ad un sistema tendenzialmente bipartitico, che almeno sulla carta dovrebbe assicurare una maggiore governabilità e coerenza di linea politica in tutti i settori e anche in quello dell’istruzione, università e ricerca, che fra l’altro torneranno a far parte di un unico ministero.