Dove i pensionamenti incidono sulla continuità didattica

In attesa di conoscere in via definitiva il numero e la dislocazione dei docenti che dal prossimo 1° settembre lasceranno il servizio (per la maggior parte in anticipo) si può esaminare cosa è successo al settembre scorso quando già la paura dello scalone incombeva.
Allora se ne sono andati quasi 31 mila docenti come avanguardia di quei 40 mila che se ne andranno tra pochi mesi. Anche l’anno scorso i docenti della ex-scuola media sono stati i più numerosi a lasciare il servizio (6,9% rispetto all’8% previsto per quest’anno).
Ma in quali territori la voglia di pensione è più sentita e quali province risentono di questa interruzione della continuità didattica con evidenti incidenze sulla qualità del servizio?
Nel “1° Rapporto sulla qualità nella scuola” di Tuttoscuola, in cui è stato rilevata la situazione dei docenti cessati dal servizio, il profondo Nord, con Lombardia e Piemonte da una parte e Veneto ed Emilia-Romagna, è stato il territorio dove il tasso di pensionamento non è andato oltre il 4,5%, mentre Molise e Calabria hanno sfiorato il 6%.
Tra le province meno colpite dall’uscita dei docenti vi sono state quelle lombarde (Sondrio, Lecco, Lodi e Bergamo a cavallo del 3%).
In assoluto, la provincia più pensionata è risultata invece Benevento con la media complessiva del 7% di docenti in tutti gli ordini di scuola collocati in quiescenza, seguita da Oristano (6,6%) e da Livorno e Terni (6,5%).
Nelle grandi città l’esodo è stato abbastanza contenuto, con l’eccezione di Firenze che, analogamente ad altre province toscane, ha avuto una media alta di pensionamenti (5,3%), mentre Milano si è fermato al 3,6%.
In questa situazione pensionistica un po’ a macchia di leopardo, l’incidenza maggiore si è avuta nei territori dell’Italia centrale (in media il 4,9%).