2013, un anno di scuola dalla A alla Z

Cari lettori,

speriamo di fare cosa gradita inviando, come consuetudine da oltre dieci anni, il riepilogo dei principali avvenimenti che hanno riguardato la scuola italiana nell’ultimo anno.

Con l’occasione porgiamo a tutti i migliori auguri per un buon 2014!

2013, UN ANNO DI SCUOLA DALLA  A ALLA Z

(L’originale, dal 2002)

Fatti, avvenimenti e persone – Consuntivo del 2013

A cura di TUTTOSCUOLA

A

ABBREVIAZIONE (corso di studi)

(febbraio) – Trapelano le prime notizie sulle proposte formulate dal gruppo di studio incaricato dal ministro Profumo di predisporre un piano per la riduzione della durata della scuola da 13 a 12 anni (con teorico risparmio di 1.380 milioni di euro nella filosofia della spending review).

Sembra prevalga l’idea, non nuova, di tagliare un anno alla scuola secondaria superiore, anche riformata da pochissimo tempo e tuttora in fase di assestamento strutturale.

Immediata l’opposizione dei sindacati della scuola, preoccupati soprattutto per l’ulteriore taglio degli organici e per la prospettiva di una nuova riscrittura dei programmi (Indicazioni nazionali) ricalibrata su quattro anni.

Sembra cadere l’ipotesi di berlingueriana memoria di accorpare in sette anni primaria e secondaria di I grado; abbandonata anche l’idea di anticipare l’obbligo a 5 anni.

B

BERLUSCONI(SMO)

(settembre) – Nel mese di settembre, con la scissione del Pdl e la formazione di una nuova maggioranza che vede il passaggio della ricostituita ‘Forza Italia’ all’opposizione, sembra concludersi un periodo quasi ventennale della storia del nostro Paese, il ciclo del ‘berlusconismo’.

Forse è troppo presto per fare un bilancio complessivo. Però se prendiamo in considerazione un campo ben delimitato come, per esempio, la politica scolastica, qualche riflessione è già possibile farla. C’è stata una ‘filosofia’ berlusconiana (un’idea guida, una strategia, un fil rouge) in materia di educazione?

La risposta è chiaramente negativa. Le due ministre messe in campo da Berlusconi, Moratti e Gelmini, hanno seguito strade ben diverse. La prima, Letizia Moratti, si è impegnata in una megariforma, il cui fulcro è stata la pseudolicealizzazione dell’istruzione tecnica, che non è stata portata a termine. La seconda è stata invece protagonista di una megarestaurazione, dal maestro unico al ripristino dei voti, che ha mascherato l’obiettivo del Governo di ridurre drasticamente la spesa pubblica per l’istruzione. Era tutto ciò inevitabile?

Di fatto, tra tocchi e ritocchi, fughe in avanti e marce indietro, la scuola italiana è rimasta fondamentalmente la stessa. L’era berlusconiana si conclude dunque con un nulla di fatto con l’eccezione forse, e con molte limitazioni, della tematica della valutazione di sistema.

Eppure le premesse e le promesse di cambiamento, quelle evocate dalle “tre i” (internet, inglese, impresa), slogan berlusconiano della campagna elettorale del 2001 – ma anche possibile scenario di modernizzazione – avrebbero potuto condurre in teoria a un esito diverso. Nella politica scolastica, come peraltro anche in altri campi, Berlusconi e il berlusconismo hanno così dimostrato di essere soprattutto poderose macchine del consenso, capaci di suscitare aspettative e di vincere le elezioni, ma non di governare in modo efficace e innovativo. Il risultato è che la scuola nel nostro Paese è cambiata pochissimo proprio in un periodo in cui l’esigenza del cambiamento è diventata sempre più forte.

 

 

 

 

 

BES

 

 

(marzo) – Il Miur, in applicazione di una direttiva del ministro Profumo, emana una circolare che ufficializza per la prima volta i bisogni educativi speciali (BES), prevedendo che siano i consigli di classe a diagnosticare le situazioni individuali che richiedono interventi didattici particolari.

Per il sostegno degli alunni con BES la circolare consente di adottare le misure dispensative e gli strumenti compensativi previsti per gli alunni con DSA (disturbi specifici di apprendimento).

La disposizione è oggetto di valutazioni contrapposte e suscita, comunque, attenzione e preoccupazione nelle scuole. Forse, per una problematica così importante, sarebbe stato più opportuno coinvolgere il Parlamento con una legge apposita, come si era fatto con i DSA (legge 170/2010).

Di un possibile disagio degli insegnanti si fanno carico i sindacati di categoria che ottengono tre mesi dopo un parziale stop da parte del Dipartimento per l’istruzione del Miur, che annuncia per l’anno scolastico 2013-14 un’applicazione soft della circolare a carattere sperimentale. 

 

 

 

 

 

BONUS MATURITA’

(aprile-giugno) – Il ministro Profumo, a fine mandato, emana un decreto per l’accesso alle facoltà a numero chiuso del prossimo anno accademico che prevede, oltre alla valutazione dei test di ammissione, anche la valutazione di un bonus relativo al percorso scolastico.

Il bonus era stato già previsto dal ministro Fioroni con la legge n. 1 del 2007, ma mai applicato.

I ragazzi usciti dalla maturità possono così contare su alcuni punti in più in base al voto dell’esame di stato: da un minimo di 1 a un massimo di 10, per i voti compresi tra l’80 e i 100 centesimi.

Con il decreto viene anche fissato il calendario delle prove di ammissione, anticipate a luglio, subito dopo la maturità, anziché in autunno come avveniva prima.

Le proteste per i tempi troppo ravvicinati delle prove inducono il ministro Carrozza a spostare il calendario dei test a settembre.

(settembre) – Il decreto legge 104 abolisce il bonus con effetto immediato, mentre sono in corso presso molte facoltà i test di ammissione. Molti studenti protestano per l’intervento modificatore in corso d’opera; si annunciano ricorsi.

In sede di conversione del DL 104 viene inserito un emendamento che riconosce ai candidati non ammessi di iscriversi in soprannumero. Un bonus che sa di malus.

 

 

 

 

 

 

C

 

 

 

 

CARROZZA

(febbraio) –Ventiquattr’ore dopo la sua elezione alla Camera, Maria Chiara Carrozza, capolista in Toscana per il Pd, ufficializza le sue dimissioni da rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Due mesi dopo diventa ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca nel governo Letta. E’ rettore e ingegnere, come il suo predecessore Profumo, ma se ne differenzia per il fatto di essere un ministro politico di un governo politico.

 

(ottobre) – In un’ampia intervista al mensile Tuttoscuola il ministro Carrozza insiste soprattutto sul ruolo istituzionale della scuola pubblica, che è quello di garantire la fruizione del servizio da parte di tutti gli studenti, a prescindere dalla loro provenienza e condizione economico-sociale. “Per questo chiedo prima di tutto rispetto per la scuola”, afferma con forza.

Sulle proposte avanzate da Tuttoscuola con il dossier ‘Sei idee per rilanciare la scuola’ Carrozza non lesina considerazione e apprezzamento:

– Apertura pomeridiana ed estiva delle scuole: d’accordo, anche il Decreto legge ‘L’istruzione riparte’ ne parla per favorirla, ma la decisione sulle attività da svolgere all’interno delle strutture scolastiche deve essere lasciata alle autorità locali: la stessa istituzione scolastica, gli enti locali, le associazioni attive sul territorio.

– Carriera dei docenti: disponibilità a discutere forme alternative di sviluppo della professionalità docente (“Se ne parlerà in occasione della ‘Costituente’”), ma allo stato delle cose non si può “spremere di più gli insegnanti, che hanno uno stipendio veramente basso”-

– Digitalizzazione delle scuole: per sostenerla auspica la defiscalizzazione delle donazioni (per le scuole “dobbiamo portarla al 100 per 100”).

Un programma realistico e pragmatico, sostenuto da una (relativamente) modesta – 400 milioni – ma significativa ripresa degli investimenti dopo la lunga stagione dei tagli, durata fino al precedente governo Monti-Profumo.

 

 

 

 

CNPI

 

(gennaio) –  Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI) non ha più membri surrogabili per esaurimento delle liste, con la conseguenza di non potere disporre del numero legale per funzionare.

La soluzione a questo problema viene in modo clamoroso: lo scioglimento delle Camere impedisce il varo di un decreto legge ‘milleproroghe’ simile a quelli che negli ultimi undici anni hanno consentito di prorogare il CNPI, in attesa della riforma degli organi collegiali territoriali.

Niente proroga, niente CNPI.

La mancata proroga del massimo organo consultivo per la scuola apre una complessa problematica istituzionale derivante dal fatto che una serie di atti amministrativi prevede l’obbligatorietà del parere del CNPI.

Potranno essere emanati, d’ora in poi, atti amministrativi, progetti ministeriali o disegni di legge che prevedono tassativamente un preventivo parere che non potrà più essere espresso? Potranno essere ritenuti legittimi o avranno un vulnus costitutivo che ne impedirà ogni efficacia giuridica? 

La risposta, non semplice, non verrà per tutto il 2013.

 

D

 

 

 

 

Dimensionamento

 

 

(dicembre) – Dopo mesi di confronto tra il MEF, il MIUR e le Regioni per definire i nuovi assetti della rete scolastica, è prevista in sede di Conferenza Unificata la conclusione con sottoscrizione dell’accordo.

All’ultimo momento la decisione viene rinviata a data da destinarsi. Tutto resta come prima, con situazioni molto differenziate sul territorio.

Il motivo principale del mancato accordo è dovuto al fatto che il MEF propone di portare ogni istituzione scolastica alla media di mille alunni.

La proposta, contrastata dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni, determinerebbe una contrazione dell’organico dei dirigenti scolastici e dei DSGA di circa 800 unità.  

 

 

 

 

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Education at a Glance (Rapporto Ocse)

 

(settembre) – La tredicesima edizione del rapporto annuale dell’Ocse Education at a Glance (EaG) pone a confronto i sistemi educativi dei 34 Paesi membri dell’Organizzazione più alcuni altri, anche se non per tutti gli indicatori (alcuni dati sono relativi all’anno 2010, altri al 2011).

L’Italia non ne esce bene. Il rapporto EaG evidenzia che la spesa pubblica per l’istruzione ammonta al 4,7% del Pil, contro una media Ocse del 6,3 %, terz’ultima peggiore performance. Ancora peggiore è il dato che riguarda la percentuale della spesa per l’istruzione sul totale della spesa pubblica: solo il 9% contro una media Ocse del 13%.

Per l’Italia viene fatto poi notare un ulteriore squilibrio, già evidenziato negli scorsi anni: se la spesa annua per studente è di 9.055 dollari, contro una media Ocse di 9.249, quella per studente di scuola materna ed elementare è un po’ sopra la media di questa fascia di scuola, mentre quella per studente universitario è notevolmente sotto: 9.561 dollari contro una media di 13.719.

(Insegnanti anziani) – Gli insegnanti italiani sono i più anziani: nel 2011 il 47,6% dei maestri elementari, il 61% dei professori delle medie inferiori e il 62,5% di quelli delle superiori aveva già superato i 50 anni d’età.

Le retribuzioni sono più basse della media europea a inizio carriera, e la differenza aumenta con l’anzianità: 29.418 dollari è la media per i professori italiani all’inizio della carriera contro 31.348 di media nei 34 membri dell’organizzazione; 36.928 dollari per un prof italiano dopo 15 anni di anzianità, contro 41.665 di media Ocse.

 

 

 

F

 

 

 

FORMAZIONE OBBLIGATORIA

(novembre) – La legge 128 di conversione del decreto legge 104 sull’istruzione conferma sostanzialmente la clamorosa novità sulla formazione obbligatoria in servizio dei docenti, nonostante vi sia stata un’impennata contraria del mondo sindacale all’uscita del DL.

Inizialmente sembrava che i sindacati avessero trovato una sponda compiacente da parte di alcuni politici per cancellare l’obbligo di aggiornamento, ma, alla fine, le Camere hanno confermato la norma, modificando in questo modo la normativa contrattuale.

Per più di vent’anni l’aggiornamento in servizio era stato un diritto-dovere poi il CCNL degli insegnanti aveva modificato tale previsione, prevedendo che l’aggiornamento fosse soltanto un diritto.

È caduto un tabù. Per il 2014 però ci sono soltanto 10 milioni per applicare la legge: basteranno per rendere permanente l’obbligo?

 

G

 

 

GaE (Graduatorie a Esaurimento)

 

 

 

(ottobre) – In sede di conversione del DL 104 (l’istruzione riparte) vengono presentati diversi emendamenti che chiedono l’immissione nelle graduatorie ad esaurimento (GaE) di docenti precari.

Gli emendamenti non vengono ammessi, in quanto non pertinenti con i contenuti e le finalità del decreto legge.

Alcuni sindacati minori, ancora una volta, stigmatizzano l’accaduto e criticano il ministro Carrozza per la sua dichiarata indisponibilità a riaprire le graduatorie.

Graduatorie che però si svuotano molto lentamente con la previsione che molte, per svuotarsi, richiederanno molti molti anni (e forse decenni).

Prima o poi il problema dovrà essere affrontato, prendendo il toro per le corna.

 

 

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HANDICAP

(novembre) – la legge 128/2013 di conversione del DL 124 (l’istruzione riparte) introduce un emendamento alla norma di stabilizzazione dei posti di sostegno per gli alunni portatori di handicap.

La norma di base prevede la stabilizzazione di 26.684 posti di sostegno. L’emendamento dispone che, a partire dal 2014-15, i posti stabilizzati in ogni regione abbiano una medesima percentuale rispetto a tutti i posti di sostegno attivati.

Da tempo Tuttoscuola sosteneva questo obiettivo della perequazione che, finalmente, ha trovato ascolto in Parlamento.

L’emendamento intende mettere fine a una situazione di forte sperequazione tra i territori, consolidatasi nel tempo e che vede quasi tutte le regioni del Sud e delle Isole con valori di stabilizzazione al di sopra della media nazionale.

Se, come tutto lascia intendere, la norma sarà rispettata fino in fondo, nei prossimi due anni vi saranno più posti di sostegno stabilizzati al Centro-Nord e altrettante immissioni in ruolo.

 

 

 

 

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INVALSI (prove)

 

 

 

 

(maggio) – Anche quest’anno, in vista dell’annuale rilevazione degli apprendimenti da parte dell’Invalsi di maggio, si sono intensificate, da parte di alcune organizzazioni e  sindacati, azioni preventive di disturbo (proposte di sciopero e mobilitazioni varie). Le astensioni dei docenti tuttavia non sono state significative, con rare eccezioni locali.

La Gilda, unico dei cinque sindacati rappresentativi che l’anno scorso aveva invitato all’astensione sotto forma di sciopero bianco, quest’anno ha preferito concentrarsi sulla questione dell’obbligatorietà dell’aggiornamento dei docenti nei territori dove i test Invalsi hanno fatto emergere limiti di apprendimento degli alunni.

 “È sbagliato e ingiusto gettare la croce solo sulle spalle dei docenti se il rendimento degli alunni ai test Invalsi è scarso, perché bisogna tenere conto anche di altri fattori, tra cui il contesto socio-ambientale in cui sono inserite alcune scuole”. Dietro questa affermazione di Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda, difficilmente contestabile, sta tuttavia una opposizione di principio alla

obbligatorietà dell’aggiornamento, considerata un attacco alla professionalità degli insegnanti: l’aggiornamento dei docenti, secondo questo sindacato, non può essere trasformato in un obbligo attraverso un decreto, scavalcando il contratto di lavoro.

Ma perché mai l’Italia dovrebbe restare uno dei pochi Paesi al mondo in cui la formazione in servizio non è contemplata come una componente fondamentale della professionalità docente?

Sull’Invalsi torniamo anche nelle voci Sestito e Valutazione.

 

 

 

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JUS SOLI

(maggio) – Il neo-ministro Cecile Kyenge propone di attivare in Italia la cittadinanza a favore degli stranieri residenti o nati in Italia, lo jus soli.

Potrebbero fruirne 370 mila studenti nati in Italia da genitori stranieri.

Da destra e soprattutto dalla Lega si registrano forti reazioni, con l’eccezione dell’ex-ministro di centrodestra Giovanardi, concittadino del ministro dell’integrazione, che apre allo jus soli, con una proposta di mediazione: dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia al momento dell’iscrizione alla prima elementare.

Secondo Giovanardi la proposta “da un lato può rassicurare verso eventuali utilizzi strumentali  della Jus Soli e dall’altro rende più efficace l’integrazione nel momento in cui i bambini italiani ed extracomunitari si trovano a frequentare assieme la scuola dell’obbligo”.

Dopo le barricate alzate dalla Lega Nord, anche il presidente del Senato Pietro Grasso ha sconfessato la Kyenge, che nei giorni precedentiaveva ricevuto applausi dalla presidente della Camera Laura Boldrini. “Starei attento a parlare di ‘ius soli’ – ha spiegato la seconda carica dello Stato – perché il rischio è di vedere una gran quantità di donne venire in Italia a partorire solo per dare la cittadinanza ai propri figli“.

 

 

L

 

 

 

 

 

 

LAUREATI

(novembre) – Dall’ultimo monitoraggio sui livelli d’istruzione in Europa la situazione dell’Italia appare preoccupante in particolare per quanto riguarda la formazione universitaria.

L’Italia risulta molto al di sotto della media Ue, in particolare, nel “raggiungimento dell’educazione universitaria” delle persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni: 21,7% contro il 35,7% comunitario nel 2012 e con l’obiettivo finale del 40% da raggiungere per il 2020.

Nel 2000 la percentuale di laureati in quella fascia di età in Italia era dell’11,6%, mentre la media dei Paesi europei era del 22,4%; nel 2009 la percentuale di laureati italiani era salita al 19,2%, mentre quella dei Paesi UE era arrivata al 31,1%.

Ma al traguardo finale del 2020, con l’obiettivo del 40% fissato da Lisbona, all’Italia mancano ben 18,3 punti in percentuale. Per raggiungere l’obiettivo del 40% occorrerebbe realizzare un aumento annuo costante di oltre due punti da oggi fino al 2020. Inimmaginabile.

 

 

 

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MALALA

(luglio) – “Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo”. Questo breve passaggio conclusivo del discorso pronunciato da Malala Yousafzai a New York, nella sede delle Nazioni Unite, nel giorno del suo sedicesimo compleanno, riassume con rara efficacia un concetto che è stato sviluppato, a partire dalla Conferenza mondiale ONU-Unesco ‘Education for all’ (Jomtien, Thailandia, 1990), da una imponente saggistica, che si è occupata però, purtroppo, più di fallimenti che di successi. Tanto che l’obiettivo di estendere la frequenza della scuola elementare a tutti i bambini e le bambine del mondo è stato spostato dal 2000 al 2015, ed è tuttora lontano dall’essere raggiunto.

A Malala, ragazzina pakistana diventata famosa a soli 13 anni per aver aperto un blog (con il sostegno della BBC), intitolato Diary of a Pakistani Schoolgirl, i talebani avevano sparato alla testa, nello scorso mese di ottobre, con l’intenzione di ucciderla. Volevano uccidere lei ma soprattutto le idee da lei sostenute sull’importanza della scuola e sul diritto delle donne di frequentarla alla pari dei maschi: una bestemmia per i talebani, che non a caso hanno concentrato i loro attacchi sulle scuole femminili o frequentate dalle ragazze.

Può darsi, come ipotizzato in questi giorni dalla stampa inglese, che dietro il lancio planetario della ‘Storia di Malala’ ci siano anche cospicui interessi mediatico-editoriali. Però il mondo intero ha potuto cogliere il coraggio e la fierezza che risuonavano nelle parole pronunciate da Malala nella sede delle Nazioni Unite. Davvero la scuola non poteva trovare una testimonial più efficace.

 

 

 

 

 

 

 

 

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NEET

 

(maggio) – L’Ocse rende noti i dati aggiornati relativi alla disoccupazione giovanile in Europa. Il quadro è impressionante: un giovane su cinque tra 15 e 24 anni oggi è senza lavoro da almeno un anno: si tratta di 22 milioni di under 25 che hanno smesso di studiare o di seguire corsi di formazione e non lavorano. Sono i cosiddetti giovani NEET (Not in Employment, Education and Training).

All’interno dei NEET poi l’Ocse fa un’ulteriore distinzione, tra NEET ‘unemployed’, che cercano lavoro senza trovarlo, e NEET ‘inactive’, che il lavoro neanche lo cercano. I dati, riferiti in questo caso al 2011 e alla fascia d’età 15-29 anni nei 33 Paesi Ocse esaminati, indicano una media di 47 giovani su 100 in educazione o formazione, 37 occupati e 15 NEET, di cui 6 unemployed e 9 inactive.

In Europa la situazione è migliore nei Paesi del Centro-Nord, che hanno tassi di NEET più bassi della media Ocse, in genere peggiore nella parte meridionale del continente, con Spagna, Grecia e Italia (cui si aggiunge l’Irlanda) sopra il 20.

L’Italia si colloca al quarto posto per percentuale di disoccupati tra i giovani under 25, con un tasso che sfiora il 39%. Peggio di noi in Europa Grecia e Spagna, che superano il 50%, e Portogallo, che si attesta al 40% (ma recupera nella fascia 25-29 anni).

 

(Italia e Germania) – Quanto ai NEET under 25 italiani (21,5%) il direttore del Dipartimento del Lavoro e degli  Affari sociali dell’Ocse Stefano Scarpetta afferma che occorre combattere l’elevata dispersione a livello scolastico e universitario e intervenire sul sistema educativo puntando sulla “formazione tecnica di qualità”, sul modello tedesco.

Scarpetta indica come esempio virtuoso quello tedesco, ma va detto che la formazione tecnica in Germania comprende il vasto settore della formazione ‘duale’, percorsi di apprendistato formativo che si svolgono prevalentemente in azienda, integrati da una formazione di carattere più generale, e che l’istruzione superiore comprende le Fachhochschulen, università tecniche in alternanza scuola lavoro: due esperienze importanti anche ai fini della lotta alla dispersione e alla disoccupazione giovanile che l’Italia non ha mai avuto, e che solo ora si cerca in qualche modo di incoraggiare tra mille difficoltà e resistenze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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OCSE PISA

 

 

 

 

(dicembre) – Il 3 dicembre vengono resi noti, in contemporanea in tutto il mondo, i risultati dei test Ocse-Pisa 2012 sui quindicenni. L’Italia registra progressi in matematica (campo principale di indagine), scienze e anche (meno) in lettura, pur restando i risultati dei nostri studenti leggermente inferiori alle medie OCSE. Su 65 Paesi oggetto dell’indagine l’Italia si colloca tra il 26° e il 35° posto.

In matematica e scienze il nostro Paese consolida i notevoli progressi già registrati nel 2009 rispetto ai dati del 2006.

Pur restando inferiori alla media Ocse i risultati medi in matematica appaiono comunque migliorati: gli studenti italiani ottengono in media un risultato di 485 punti, comparabile ai risultati di Federazione Russa, Lettonia, Lituania, Norvegia, Portogallo, Repubblica Slovacca, Spagna e Stati Uniti. In Italia, tra il 2003 e il 2012, i risultati medi sono migliorati di 20 punti, avvicinandosi alla media Ocse. L’Italia viene segnalata dall’Ocse come uno dei Paesi che ha registrato i progressi più rapidi in matematica rispetto ai Paesi che hanno partecipato a tutte le indagini PISA dal 2003 al 2012.

In media i ragazzi superano le ragazze di 18 punti in matematica, una differenza più ampia rispetto a quanto osservato in media negli altri Paesi dell’OCSE (11 punti), ma le ragazze si rifanno in lettura.

Tra il 2003 e il 2012 la percentuale di studenti che si colloca nella fascia inferiore del punteggio (low performers) è diminuita di 7 punti percentuali e quella degli studenti che si colloca nella fascia superiore del punteggio (top performers) è aumentata di 2,9 punti.

Ora il 25% degli studenti in Italia ottiene un punteggio inferiore al livello 2 della scala dell’indagine PISA in matematica (il livello 2 è considerato il livello minimo per esercitare i diritto di cittadinanza), mentre la media OCSE è del 23%, quindi più vicina.

Anche in scienze la performance media dell’Italia è migliorata di 18 punti tra il 2006 e il 2012 (ora è a 494 punti) e la maggior parte dei progressi sono stati registrati tra il 2006 e il 2009.

In lettura invece i risultati sono stabili tra il 2000 e il 2012 (490 punti) e sono paragonabili a quelli di Austria, Danimarca, Israele, Spagna, Svezia e Stati Uniti e Ungheria.

Buoni risultati, dunque, o almeno promettenti, considerato il trend verso il miglioramento, e malgrado, come è stato osservato, la diminuzione delle risorse disponibili.

 

 

 

 

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PONTE (classi)

(novembre) – Nella scuola “Besta” di Bologna viene autorizzata un’esperienza di classi ponte. Esponenti della sinistra e dello stesso PD esprimono critiche.

Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza afferma: “Non giudico, magari lì si è creato un contesto eccezionale.  Però io sono contraria alle classi ponte. Meglio potenziare l’insegnamento dell’italiano nel pomeriggio“.

Sulla classe della scuola di Bologna si era espressa anche il ministro per l’integrazione, Cécile Kyenge: “Il miglior modo per l’inserimento è mettere le persone a contatto con gli altri. Non condivido l’idea delle classi ponte, meglio rafforzare gli strumenti di sostegno come il doposcuola o fuori dalla scuola, ma i ragazzi stranieri devono essere a contatto con gli altri alunni“.

Imbarazzo del PD e soddisfazione della Lega che con Zaia (vedi) aveva avanzato una proposta simile due mesi prima.

 

 

 

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QUATTRO ANNI

 

 

 

 

 

 

(ottobre) – La sortita iniziale era stata di Francesco Profumo, che all’inizio del 2013 aveva chiesto a un apposito gruppo di lavoro di ipotizzare un set di soluzioni per ridurre la durata della scuola italiana da 13 a 12 anni. Se ne era saputo poco, tra sospetti e fuochi di sbarramento sindacali. Ma la talpa aveva scavato, soprattutto in direzione di una delle ipotesi fatte, quella di ridurre di un anno la durata della scuola secondaria superiore.

Così a ottobre, quando si viene sapere che il nuovo ministro Carrozza ha autorizzato tre scuole secondarie superiori della Lombardia (tutte e tre paritarie) a sperimentare la riduzione di un anno della durata del percorso liceale, la sorpresa è grande. E grandi sono anche le proteste dei sindacati, che temono – al di là delle obiezioni di carattere socio-pedagogico mosse da alcuni di essi – la generalizzazione di un modello di scuola secondaria superiore (i licei farebbero da apripista) che ridurrebbe l’organico degli insegnanti di un quinto, circa 40.000 posti (che potrebbero però sempre essere utilizzati per colmare varie carenze di sistema).

Il ministro però contrattacca, auspica l’estensione della sperimentazione alle scuole statali e dice che se da giovane avesse avuto l’opportunità di fare il liceo in quattro anni anziché in cinque lei l’avrebbe certamente colta.

Vedremo come procederà la sperimentazione e se e quante scuole statali chiederanno di aderire. A nostro avviso non c’è ragione perché essa venga ostacolata. Quello dell’allineamento della durata dell’istruzione scolastica in Italia ai 12 anni di quasi tutti i più importanti Paesi del mondo (USA, Cina, Russia, Giappone, Corea, quasi tutta l’Europa) è un nodo cruciale da approfondire, trattandosi di una questione strategica, di sistema-Paese.

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Race to the top

(settembre) – Il programma Race to the top – espressione traducibile con ‘gara, o corsa, per il successo’ – è la riforma della scuola, o per meglio dire dell’intervento federale statunitense in materia di politica scolastica (la cui gestione operativa resta sempre e comunque, come da tradizione, nella competenza dei singoli Stati), voluta da Obama in sostituzione del precedente programma No Child Left Behind, introdotto da George W. Bush nel 2001.

In sostituzione ma anche in parziale continuità, va detto, perché entrambe le leggi hanno ricevuto un consenso bipartisan, entrambe si propongono di migliorare la qualità e l’equità della scuola americana ed entrambe sono basate su un sistema di incentivi rivolti agli Stati a condizione che essi raggiungano determinati risultati. La differenza, sostanziale però, è che nel modello di Bush la verifica del raggiungimento di tali risultati era affidata a scelte discrezionali dei singoli Stati, mentre in quello di Obama gli Stati che vogliono ricevere i contributi sono invitati a utilizzare gli standard federali per la valutazione dei risultati conseguiti dai vari soggetti (dagli alunni per inglese e matematica, dagli insegnanti per quanto riguarda la loro preparazione, dai dirigenti delle scuole ecc.).

Con il nuovo anno scolastico quasi tutti gli Stati (fanno eccezione il Texas, l’Alaska e pochi altri) parteciperanno alla gara (race) per assicurarsi gli incentivi, che ammontano ad oltre 4 miliardi e mezzo di dollari. Per ottenerli dovranno utilizzare gli standard federali e dimostrare di aver realizzato miglioramenti nei livelli di apprendimento degli studenti, di aver ridotto i fallimenti scolastici, di aver migliorato la formazione iniziale e continua dei docenti, e anche di aver aumentato il numero delle ‘charter school’, le scuole private gestite da enti e associazioni che si impegnano a rispettare determinati criteri di qualità e di sostegno delle fasce deboli della popolazione studentesca.

Il punto sul quale ferve il dibattito, che investe trasversalmente gli schieramenti politici, è quello che riguarda la centralizzazione degli standard. Le critiche vengono non sono solo dai repubblicani più conservatori, diffidenti verso ogni forma di ampliamento delle competenze federali rispetto a quelle degli Stati, ma anche dagli ambienti liberal dello schieramento democratico che paventano la crescita dei poteri buro-tecnocratici e la compressione della libertà di insegnamento indotta dalla necessità di adeguarsi a standard definiti dall’alto e dalla lontana Washington. 

 

 

 

 

 

REFERENDUM

(maggio) –A Bologna si svolge il referendum cittadino sul finanziamento del Comune a favore delle scuole dell’infanzia paritarie a gestione privata.

Il referendum non ha valore vincolante per il Comune, ma rappresenta, comunque, un segnale che non può non essere considerato, e assume gradualmente una valenza nazionale che travalica i confini cittadini del capoluogo emiliano.

Oltre alla questione del finanziamento il referendum si veste di una valenza politica nei confronti del PD che governa da sempre Bologna. La sinistra ne esce comunque spaccata.

A scrutinio ultimato della consultazione consultiva, il fronte che chiede di abolire il finanziamento del Comune alle scuole dell’infanzia private arriva al 58%. Molto bassa però la partecipazione, ferma al 28,7% degli aventi diritto.

I promotori del referendum gridano vittoria; il sindaco Virginio Merola, come aveva dichiarato prima del voto, sembra ignorare l’esito.

L’ex-premier Romano Prodi dichiara che gli esiti dei referendum devono sempre essere rispettati.

Né vinti né vincitori?

 

 

 

RENZI

(gennaio-dicembre) – La prima sortita ‘scolastica’ del futuro segretario del Pd si registra, nel 2011, quando il sindaco di Firenze dichiara che sull’università Mariastella Gelmini non era stata abbastanza cattiva: “avrebbe dovuto avere il coraggio di chiudere la metà delle università italiane: servono più a mantenere i baroni che a soddisfare le esigenze degli studenti”.

Poi, a giugno 2012, apre alla proposta di Jacopo Morelli, neoeletto presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, di inserire l’abolizione del valore legale dei titoli (si riferiva soprattutto all’università) tra le quattro proposte per far sì che i giovani non diventino una “generazione esclusa”, accanto alla revisione del sistema pensionistico, al taglio delle tasse sui giovani e alla soppressione dell’Irap.

Nel corso del 2013, nel confronto interno al Pd, difende il principio della meritocrazia e promette di ascoltare di più gli insegnanti, “Tutti hanno provato a riformare la scuola, nessuno l’ha mai fatto ascoltando chi nella scuola ci vive ogni giorno. Lo faremo noi”.  Poi, diventato segretario, rilancia su questo tema: “Abbiamo perso l’autorevolezza sociale del ruolo dell’insegnante, la riconquisteremo centimetro per centimetro”, afferma, ribadendo che “E’ l’educazione il punto da cui ripartire”.

I toni sono alla Tony Blair (che mise il motto ‘Education, Education, Education’ al centro della sua prima campagna elettorale nel 1997), bisognerà vedere se Matteo Renzi avrà la stessa fortuna politica…

 

 

 

S

 

 

 

 

 

 

SESTITO

 

(novembre) – La notizia delle dimissioni irrevocabili di Paolo Sestito da presidente dell’Invalsi viene data dal ministro Carrozza, alla fine di un incontro con i sindacati, il 22 novembre, come se fosse una notizia minore, da ‘eventuali e varie’.

E invece, per chi si occupa di scuola e di valutazione di sistema, la notizia è di straordinaria importanza, perché l’abbandono della guida dell’Istituto nazionale di valutazione da parte dell’autorevole economista di estrazione Bankitalia, stretto collaboratore e successore all’Invalsi di un altro importante ricercatore proveniente dall’ufficio studi di via Nazionale, Piero Cipollone (ora alla World Bank), potrebbe segnare la conclusione di un ciclo nella storia dell’Istituto, cominciato nel 2007, anno del ‘Quaderno bianco sull’istruzione’: quello dell’utilizzazione della valutazione di sistema (anche) come indicatore macroeconomico e come leva per favorire l’aumento dell’efficienza e dell’efficacia del sistema scolastico per il tramite della sistematica rilevazione dei dati relativi agli apprendimenti e ai fattori interni ed esterni che su essi incidono.

Non è detto che questa linea venga abbandonata, e in ogni caso sarebbe auspicabile che l’Invalsi continuasse a sviluppare la raccolta sistematica di dati, come ha fatto con successo e con una certa autonomia dal Ministero in questi anni.

 

(La successione) – Per la successione a Sestito il ministro ha nominato una commissione di cinque esperti, presieduta dal linguista ed ex ministro De Mauro, di cui non fa parte alcun economista. Il ritorno di un ‘umanista’, forse di un pedagogista, alla guida dell’Invalsi potrebbe comportare secondo qualcuno una minore disponibilità  dell’istituto di Villa Falconieri a condividere i modelli e l’ottica economicista dell’Ocse, soprattutto per quanto riguarda il versante nazionale (ciò che desta i sospetti dell’economista Andrea Ichino, ma anche dell’ADi). Sul versante internazionale sembra invece difficile che la poderosa macchina valutativa dell’Ocse (PISA + EaG), che ha ormai una sua filosofia consolidata, possa funzionare in Italia diversamente da come sta funzionando nel resto del mondo.

 

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TABLET SCHOOL

 

 

(aprile) – Si può fare una didattica sintonizzata con il modo di pensare, interagire, apprendere dei giovani di oggi, i ‘nativi digitali’, per usare la fortunata espressione lanciata da Marc Prensky nel 2001? E possono i docenti della scuola italiana, che hanno fra l’altro una età media tra le più elevate al mondo, imparare a gestire questa nuova metodologia didattica?

A questi interrogativi risponde decisamente di sì Dianora Bardi, docente di italiano e latino del liceo Lussana di Bergamo, vicepresidente dell’associazione ImparaDigitale, protagonista della due giorni di dibattito, workshop e formazione dei docenti che si svolge il 5 e 6 aprile a Bergamo con il titolo generale di ‘Tablet School’, proposto e scelto on line dagli studenti.

La condizione, come spiega la stessa Bardi, è che gli insegnanti imparino a utilizzare uno strumento, come il tablet, che assai più dei ‘vecchi’ computer portatili, compresi i netbook, si presta a soddisfare l’esigenza dei giovani di oggi di gestire i processi di apprendimento in modo collaborativo, condiviso, co-creativo e multimediale, e non più in quello individualistico e monomediale legato alla tradizionale didattica centrata sul binomio lezione ex cathedra-studio individuale su testi stampati.

Gli insegnanti non devono però focalizzarsi sulle tecnologie, inseguire i produttori e gli editori in una affannosa rincorsa alle ultime novità hardware e software: devono sapere tuttavia come esse possono essere impiegate a fini didattici, e scegliere solo le funzioni necessarie a questo scopo. Fondamentale diventa, nell’ottica dell’apprendimento co-costruito, tablet-based, per sua natura e per molti aspetti transdisciplinare, la collaborazione tra i docenti nella programmazione condivisa delle attività didattiche, compresa la valutazione dei risultati raggiunti dai singoli studenti.
Altrettanto fondamentale è trovare nuovi modelli di finanziamento, anche con il coinvolgimento dei privati per lo sviluppo della scuola digitale: nel 2013 sono solo 36 su quasi 9 mila gli istituti scolastici completamente digitalizzati con i fondi del programma del Miur scuol@2.0 e solo 1200 le classi 2.0.

 

 

 

 

 

 

TFA

(ottobre) –Si fa serrata la ‘guerra tra poveri’ che divide due categorie di insegnanti aspiranti ad entrare in pianta stabile nella scuola italiana, i ‘tieffini’ e i ‘passini’ (neologismi subito entrati nel gergo corrente).

I primi, mediamente più giovani, sono quelli che nei mesi precedenti hanno superato le prove preselettive e poi i corsi del Tirocinio Formativo Attivo (TFA), conseguendo il titolo abilitante utile per l’ammissione ai concorsi. I secondi sono i docenti precari non abilitati, ma con almeno tre anni di anzianità di servizio, interessati allo svolgimento dei Percorsi Abilitanti Speciali (PAS), ai quali accederanno direttamente, senza preselezione.

I tieffini, temendo di essere scavalcati nelle graduatorie degli abilitati dai passini, che hanno in genere maggiore anzianità di servizio e titoli, vorrebbero avere la precedenza nelle supplenze a scapito dei concorrenti: ritengono di averla meritata avendo superato una prova fortemente selettiva. I passini a loro volta sostengono di aver guadagnato sul campo il diritto ad accedere direttamente ai corsi, rivendicando il ‘merito’ di aver tenuto in piedi la scuola in anni e in circostanze difficili. Perciò vorrebbero una graduatoria unica, senza distinzione con i tieffini.

Se sulla precedenza c’è uno scontro di interessi, entrambe le categorie convergono invece sulla richiesta di entrare nelle Graduatorie a esaurimento (Gae). Per ora senza successo.

 

 

 

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UNESCO

(ottobre) – La ‘giornata mondiale dell’insegnante’ (World TeacherDay), istituita dall’Unesco nel 1994, viene celebrata il 5 ottobre di ogni anno in oltre 100 Paesi con l’obiettivo di valorizzare il ruolo dei docenti nella educazione delle nuove generazioni in generale, ma con particolare riferimento a quelle residenti nei Paesi sottosviluppati.

In questa iniziativa l’Unesco è infatti affiancata da altri organismi impegnati sul fronte della Education for all: l’ILO (International Labour Organization), l’UNICEF, l’UNDP (United Nations Development Programme) e EI (Education International).

La parola d’ordine di quest’anno, scelta dall’Unesco e dai suoi partner, è “Call for Teachers”, traducibile in “Cercansi insegnanti”, un appello che si spiega con la carenza di insegnanti che si registra in molti Paesi (ne servono oltre 5,2 milioni per il 2015, di cui 3,5 per sostituire quelli in uscita), e soprattutto in quelli poveri che ne avrebbero più bisogno.

Per una educazione di qualità però, avverte l’Unesco, servono insegnanti di qualità, cioè “ben addestrati, valorizzati, supportati e motivati”, mentre in molti casi essi restano sotto qualificati, mal retribuiti e poco riconosciuti a livello sociale.

 

 

 

 

 

 

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VALUTAZIONE

(dicembre) – Il 12 dicembre si svolge a Roma  il convegno “Esperienze internazionali di valutazione dei sistemi scolastici”, promosso dalla associazione Treellle e dalla Fondazione per la scuola-Compagnia di San Paolo in collaborazione con l’Ocse.

Nel pomeriggio due dei principali relatori della mattina, il noto economista dell’istruzione Eric Hanushek, e il responsabile del programma Ocse-Pisa Andreas Schleicher, partecipano a un seminario di approfondimento, coordinato da Tuttoscuola, cui partecipa un ristretto numero di esperti.

È l’occasione per capire meglio le strategie internazionali – almeno quelle di un organismo intergovernativo come l’Ocse – in materia di valutazione.

 

(Schleicher) – Per Andreas Schleicher, responsabile del programma Pisa, la valutazione è necessaria per favorire i processi decisionali e deve essere basata su evidenze, senza le quali non sarebbero possibili né la rendicontazione (accountability) nè il miglioramento rispetto a obiettivi predefiniti: ogni miglioramento che deve essere misurato con parametri certi, quantificabili.

Riferendosi al nostro Paese Schleicher osserva che rispetto alle tre componenti valutative essenziali per un corretto ed efficace processo decisionale (la valutazione degli apprendimenti degli studenti, la valutazione degli insegnanti e dei capi di istituto e la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza delle singole scuole) l’Italia fa fronte adeguatamente solo alla prima, ignora quasi del tutto la seconda ed è solo agli inizi per la terza. E’ insomma in grave ritardo, anche se sta cercando di recuperare.

 

(Hanushek) – Il contributo di Hanushek, caposcuola degli economisti dell’istruzione e consulente dell’Ocse, al chiarimento delle strategie internazionali è altrettanto chiaro, anche se suscita riserve e discussioni: dal suo punto di vista conta solo ciò che è quantificabile e misurabile. Quindi solo le evidenze empiriche, frutto di ricerche e di test, tra i quali quelli sull’apprendimento degli studenti e sulle competenze degli insegnanti sono fondamentali. Il prof illustra una vasta casistica di situazioni e dati in base ai quali si evidenzia una stretta correlazione tra miglioramento della qualità dei sistemi educativi e miglioramenti economici, sia individuali che delle nazioni. Se fosse per lui gli insegnanti migliori dovrebbero essere premiati e quelli peggiori licenziati, in quanto dannosi.

Ma il programma Ocse-Pisa, assicura Schleicher, non ha questa finalità: serve per informare e stimolare i decisori, le scuole e gli insegnanti a fare meglio anche attraverso il confronto, il benchmark nazionale e internazionale.

 

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ZAIA

(settembre) – Non bisogna creare ghetti, ma i bimbi immigrati che non sanno l’italiano non possono seguire un percorso scolastico iniziale con i loro compagni che sanno l’italiano.

È questa l’opinione del presidente del Veneto, Luca Zaia, che lancia un appello al Governo perché decida presto e propone la creazione di ‘classi ponte’ (vedi) per quanto riguarda l’alfabetizzazione italiana.

Le classi ponte dovrebbero essere composte soltanto da alunni stranieri per imparare, in modo intensivo, la lingua italiana prima di essere immessi in classi normali con alunni italiani.

Secondo Zaia, un’integrazione vera non si ha quando si porta un ragazzino che non sa una parola di italiano in una classe in cui tutti gli altri lo parlano. Sarà pure vero che poi imparerà l’italiano – dice il governatore – ma sarà vero anche che questo bambino resterà emarginato per un lungo periodo della sua vita scolastica.

La posizione leghista non è nuova e già nel 2008 in Parlamento era stata presentata una mozione leghista a favore delle classi ponte.

La sinistra considera quella di Zaia una provocazione.