Da Conte a Draghi: un cambio di fase politica. La scuola banco di prova

Con la crisi del governo Conte 2 i tempi del ricambio politico e governativo hanno subito una improvvisa accelerazione, e Mario Draghi è stato chiamato a presiedere, come ha detto il presidente Mattarella, un “governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Una indicazione che induce a riflettere.

Quello guidato da Draghi è il terzo governo di questa legislatura: i primi due sono stati sostenuti da due diverse formule politiche, pur essendo entrambi guidati da Giuseppe Conte, designato dal partito uscito vincitore dalle elezioni del 2018, il Movimento 5 Stelle: il Conte 1 è nato dal ‘contratto’ tra il M5S e la Lega di Salvini, i due partiti che in campagna elettorale avevano utilizzato le parole d’ordine e avanzato le proposte più populiste, il reddito di cittadinanza da una parte e il sovranismo antieuropeo e anti-immigrati dall’altra. La “formula politica” è stata in questo caso la convergenza tattica dei due soggetti politici più ostili, sia pure da posizioni su molti punti antitetiche, al PD che aveva espresso i precedenti governi Renzi e Gentiloni.

Una formula che conteneva in sé contraddizioni insanabili, come si è visto nell’agosto 2019, quando Salvini tentò di capitalizzare elettoralmente il crescente consenso alla sua linea sovranista dei porti chiusi e dell’Europa lontana. Il M5S, per nulla interessato a una verifica elettorale, a quel punto scelse una formula politica diversa, aprendo con il Conte 2 a un PD guidato non più dell’arcinemico Matteo Renzi ma dal più conciliante Nicola Zingaretti, e assumendo in politica estera una posizione più filoeuropea, sfociata nell’appoggio alla elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea.

Comune ai due governi Conte è stato il fatto che la politica scolastica ha ricevuto scarsa attenzione, attenzione che è cresciuta congiunturalmente solo a seguito dell’emergenza sanitaria: lo dimostra il fatto che l’incarico di ministro della PI è stato affidato a personalità assai poco influenti nei rispettivi partiti, Bussetti della Lega e Fioramonti-Azzolina del M5S.

L’avvento del governo Draghi, sostenuto da quasi tutti i partiti che si erano fortemente contrapposti nelle due formule politiche precedenti, segna la nascita non di una nuova formula politica – anche se qualcuno ha rievocato quella dei governi di unità nazionale, da De Gasperi (1946-47) a Andreotti (1978-79) – ma di una nuova fase politica nella quale l’interesse nazionale (quello che si misura sui tempi medio-lunghi delle riforme di struttura, come quelle scolastiche) dovrebbe prevalere sulle dialettiche partitiche, legate alla difesa di interessi immediati e di breve periodo.

Ad assolvere questo compito Mattarella ha chiamato un personaggio super partes, un supertecnico che si avvarrà della collaborazione di altri ministri tecnici nei settori chiave dello sviluppo sostenibile in campo economico, ecologico, digitale e, finalmente, educativo. È in questo quadro che è maturata, per la scuola, la scelta di un tecnico (anche se non privo di esperienza politica) come Patrizio Bianchi, un economista consapevole dell’importanza strategica delle politiche educative. Il suo programma è in buona parte già scritto: è contenuto nel Rapporto finale, datato 23 luglio 2020, della commissione da lui presieduta, istituita dalla ministra Azzolina in vista della riapertura delle scuole a settembre, e nel suo libro, uscito a ottobre 2020, intitolato Nello specchio della scuola (il Mulino).

Tra i punti qualificanti, da apertura di una fase politica davvero nuova per la scuola italiana, segnalerei questi tre: il varo in 3-5 anni di un sistema di istruzione tecnico-professionale superiore per formare (almeno) 150.000 diplomati; una didattica integrata tra presenza e distanza, personalizzata e in grado di combattere alla radice le vecchie e le nuove povertà educative; curricoli essenzializzati, e riduzione di un anno della scuola secondaria superiore. Vedremo presto se alla novità della fase politica corrisponderanno vere novità sul piano programmatico. La politica scolastica sarà un banco di prova.