Cosa pubblica? I care

È evidente che gli artefici della svolta di una nazione devono essere i suoi cittadini.

Già tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento la “cosa pubblica” chiama a raccolta i cittadini più attenti che accettano incarichi di responsabilità e di consulenza. Parini, Verri, Beccaria, Manzoni, a che titolo parlavano e denunciavano le cadute e le ingiustizie dell’epoca? “I care!”, ci avrebbero risposto.

Allora la domanda è d’obbligo: l’Italia oggi è… troppo povera di fascino (“Tanto, ormai…”) o è troppo ricca di fascinosi (“Io sì che…”)? Non mancano uomini e donne attenti a rivestire un ruolo, tanto modernamente non politically correct, quanto in realtà imbottito di parole viziate dall’ideologia e scollegate dalla ragione. Intanto “si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”.

Pensiamo alla scuola, considerata dai più un bene di tutti! Se ne siamo realmente convinti, allora ne deve seguire necessariamente da parte di tutti un coinvolgimento. E chi sono questi “tutti”, se non Famiglia, Scuola e Societas?

Quale intelligenza è sottesa all’educazione, alla formazione delle giovani generazioni? Quale strategia è posta in essere dalle Istituzioni (Stato, Chiesa…) affinché il buono, il bello, il vero che il Paese ha espresso nei secoli continui ad alimentare la vita sociale, culturale, politica delle generazioni a venire? “Oggi la crisi epocale che coinvolge l’Europa rimette in discussione tutte le nostre conquiste. Per questo bisogna impegnare le forze migliori per proporre nuovi modelli di sviluppo, sia a livello locale che nazionale, per ridare un futuro ai nostri figli.” (Primo Gonzaga, economista).

In Italia non è libera, la famiglia, di educare e formare i propri giovani secondo la propria legittima visione della realtà, in un ambito di valori civili. Lo Stato non la ritiene in grado di prendere libere decisioni rispetto al futuro dei propri figli. La famiglia è “interdetta”. Paga le imposte per la scuola pubblica (di tutti), ma non può sceglierla. La Costituzione italiana enuncia una libertà che non è garantita, oltre ogni logica di Stato di diritto che è tale nella misura in cui sa “garantire” (cioè far sì che si realizzino) i diritti che “riconosce”. 

Ma se questo avviene lungo la Penisola e sembra scoraggiarci, giunge come una conferma un segnale da Regione Lombardia. Al tavolo di concertazione siedono ormai da più di 15 anni le associazioni dei genitori, dei gestori, dei docenti delle scuole paritarie cattoliche, di ispirazione cristiana, laiche. Non c’è spazio  né tempo per gli individualismi: occorre domandare una continuità delle politiche a favore della libertà di scelta educativa. E cosi si alternano i Presidenti di giunta, da Maroni a Fontana, gli assessori da Aprea a Rizzoli, ma li accomuna – loro come le associazioni – quel senso di responsbilità che caratterizza solo chi serve la realtà e invoca una sana continuità delle politiche scolastiche. Queste, mentre garantiscono la liberà di scelta educativa, il pluralismo educativo gravemente compromesso lungo la Penisola ma non in Lombardia, rappresentano una gestione responsabile dei danari pubblici.

La regione Lombardia da sempre ha compreso che azioni di diritto responsabili fanno bene al diritto, all’economia e alla cultura: è al top della graduatoria Ocse-Pisa. Infatti, impedire la libertà di scelta educativa, azzerare il pluralismo educativo ha un costo sociale ed economico non indifferente (10mila euro in media l’allievo della scuola statale contro i 500 euro dell’allievo della scuola paritaria… altro che “senza oneri per lo Stato”! è il suo primo finanziatore, quest’ultima!).

Allora, mentre si sprecano le parole e ci si illude che non parlarne faccia dimenticare ai cittadini le promesse disattese e il diritto tradito, da Regione Lombardia giunge un gesto di responsabilità, di continuità politica (non sempre è sano demolire o ignorare le politiche sane di chi ci ha preceduto; spesso è segno di incompetenza… perché un’idea buona si leva alta sopra le visioni di partito), verso un impegno concreto a favore a) della garanzia della libertà di scelta educativa; b) dell’opposizione a qualsiasi lettura ideologica e faziosa di contrapposizione costruita ad arte fra scuola statale e paritaria; c) del pluralismo educativo come un valore aggiunto da non perdere.

E’ stata approvata dalla giunta regionale, su proposta dell’assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro Melania Rizzoli, la delibera con cui vengono stanziati 286 milioni di euro per finanziare le misure a sostegno del sistema di Istruzione e Formazione Professionale e della Dote Scuola per l’anno scolastico 2019/20. Assessore Rizzoli: “È il motivo per cui questa delibera, che non si limita a stanziare fondi, ma che delinea le politiche generali su istruzione e formazione è in stretta continuità con quelle  del passato: perché erano e sono idee buone, che hanno dato e continueranno a dare frutti”.

Un sistema di contributi e riconoscimenti incardinato su alcuni principi: “Noi crediamo”, ha aggiunto l’assessore Rizzoli, “in una formazione professionale di alta qualità, che porti per sua natura verso il lavoro; sosteniamo economicamente la libertà delle famiglie di scegliere i percorsi educativi per i figli, garantita dalla legge ma poi quasi mai sostenuta dallo Stato. E una famiglia che sa di poter contare su un contributo certo, può fare scelte più libere. Così come crediamo che sia giusto premiare gli studenti meritevoli, e soprattutto teniamo nella massima considerazione i problemi delle famiglie con figli disabili”. Ci si augura che questo gesto di intelligenza e responsabilità giunga sino a Roma: chi ha orecchie (ben funzionanti) intenda: è unica la strada verso la libertà di scelta educativa e il pluralismo formativo: il costo standard di sostenibilità.

Suor Anna Monia Alfieri, presidente Fidae Lombardia