Consigli per i futuri DS: come semplificare il linguaggio dei testi amministrativi

Continuano i nostri appuntamenti della rubrica dedicata ai consigli per gli aspiranti dirigenti scolastici. In questo secondo articolo (qui è possibile leggere il primo) parliamo di una direttiva che è stata pietra miliare tra le iniziative per superare il burocratese in Italia. Era l’8 maggio del 2002 quando l’allora Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Frattini, emanò la famosa “Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi” indirizzata a tutte le Pubbliche Amministrazioni. Il documento è diviso  in due parti: la prima riguarda le regole di comunicazione per ribaltare il vecchio paradigma del linguaggio burocratico; la seconda chiarisce le regole di scrittura del testo.

Obiettivo ovviamente è la sburocratizzazione del “burocratese” inteso come “linguaggio complesso e oscuro usato, per abitudine e mancata attenzione alla chiarezza, nel settore della burocrazia dai funzionari che vi operato” (Sabatini e Coletti, 1997). Puntate ad un linguaggio che garantisca la trasparenza cioè l’immediata accessibilità e comprensibilità per i suoi destinatari.

Quali sono le caratteristiche del linguaggio amministrativo burocratico? Sono quattro: la complessità, l’oscurità, la formalità e la circolarità, cioè l’abitudine di riutilizzare documenti preesistenti, adattandoli ai nuovi casi, invece che scriverne nuovi. Si legge testualmente nella direttiva: “Il Ministro della Funzione Pubblica desidera, con questa direttiva, contribuire alla semplificazione del linguaggio usato dalle amministrazioni pubbliche per la redazione dei loro testi scritti. Le amministrazioni pubbliche utilizzano, infatti, un linguaggio molto tecnico e specialistico, lontano dalla lingua parlata dai cittadini che pure ne sono i destinatari. Invece, tutti i testi prodotti dalle amministrazioni devono essere pensati e scritti per essere compresi da chi li riceve e per rendere comunque trasparente l’azione amministrativa. I numerosi atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni, sia interni (circolari, ordini di servizio, bilanci) sia esterni, devono prevedere l’utilizzo di un linguaggio comprensibile, evitando espressioni burocratiche e termini tecnici. Anche gli atti amministrativi in senso stretto, che producono effetti giuridici diretti e immediati per i destinatari, devono essere progettati e scritti pensando a chi li legge”.

La direttiva esprime un concetto molto importante dal profilo della comunicazione: “Oltre ad avere valore giuridico, gli atti amministrativi hanno un valore di comunicazione e come tali devono essere pensati. Devono, perciò, essere sia legittimi ed efficaci dal punto di vista giuridico, sia comprensibili, cioè di fatto efficaci, dal punto di vista comunicativo”.
 
I documenti scriveranno i dirigenti scolastici dovranno seguire le dieci regole di comunicazione contenute nella prima parte della direttiva. Vediamole:

1. Avere (e rendere) sempre chiaro il contenuto del testo. Avere per primi chiaro il contenuto del messaggio che si vuole dare, sciogliere la complessità ed eliminare le ambiguità. 
2. Individuare sempre il destinatario. E’ necessario calibrare il messaggio a seconda che scriviate ai docenti, ai genitori o a un ente locale. 
3. Individuare le singole informazioni e inserirle nel testo in modo logico. Le informazioni più generali devono precedere quelle particolari; i casi generali devono precedere le eccezioni; le informazioni, che in linea temporale sono antecedenti, precedono quelle successive.  
4. Individuare e indicare i contenuti giuridici del testo. Gli atti amministrativi rispondono a regole e principi di legittimità.
5. Individuare la struttura giuridica più efficace per comunicare gli atti. Bisognerà scegliere di volta in volta la struttura giuridica più adeguata, a seconda dell’oggetto e del destinatario;
6. Verificare la completezza delle informazioni. L’informazione è completa quando l’atto amministrativo dice al destinatario tutto quanto deve sapere e deve fare.
7. Verificare la correttezza delle informazioni. Verificare i riferimenti normativi (attenzione al copia incolla, serve soprattutto a ripetere gli errori compiuti da altre scuole).
8. Verificare la semplicità del testo. Assicurarsi che il testo risulti di immediata comprensione.  
9. Usare note, allegati e tabelle per alleggerire il testo. Le informazioni di natura tecnica possono essere inserite in allegati o in tabelle.  
10. Rileggere sempre i testi scritti. Rileggere o far rileggere ad altri: essere con la testa “troppo dentro” a un testo spesso genera errori e incomprensioni.   

La seconda parte della direttiva riguarda le regole di scrittura.
Alla base, ci sono due principi: la comprensibilità – che riguarda il modo in cui è organizzato e presentato il contenuto di un testo – e
la leggibilità. 

1. Scrivere frasi brevi
2. Usare parole del linguaggio comune
3. Usare pochi termini tecnici e spiegarli
4. Usare poche abbreviazioni e sigle
5. Usare verbi nella forma attiva e affermativa
6. Legare le parole e le frasi in modo breve e chiaro
7. Usare in maniera coerente le maiuscole, le minuscole e la punteggiatura
8. Evitare neologismi, parole straniere e latinismi
9. Il testo scritto richiede il rispetto del congiuntivo. 
10. Usare in maniera corretta le possibilità di composizione grafica del testo

Senza entrare troppo in tecnicismi, esiste un indice di leggibilità del testo scritto: formule matematiche basate su parametri come la lunghezza media delle parole e la lunghezza media delle frasi. Una precisazione: si tratta di una valutazione quantistica della semplicità della sintassi e del lessico di un testo, non della correttezza della disposizione delle informazioni. Come funziona? Più elevato è l’indice di leggibilità, più semplice risulterà la lettura del testo da un punto di vista linguistico. In Italia, gli indici più utilizzati per misurare la leggibilità di un testo sono quello di R. Flesh (1946), riadattato per la lingua italiana da R. Vacca (1978) e l’indice Gulpease (1988) prodotto dal Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico, coordinato dal celebre linguista Tullio de Mauro, presso il Seminario di Scienze dell’Educazione dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” che ha una scala da 0 (massima leggibilità) a 100 (minima leggibilità). La formula  dell’indice Gulpease è: 89 – LP/10 + FR*3; dove LP corrisponde alle lettere per 100, diviso il totale delle parole, e FR alle frasi per 100, diviso il totale delle parole. 

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