Concorsi Università: più controlli o più risorse e fiducia?

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Nell’intervista di Corrado Zunino a Raffaele Cantone pubblicata da Repubblica lo scorso 27 settembre il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (che è un magistrato) sostiene, con riferimento all’indagine della Procura di Firenze che ha portato all’arresto e alla sospensione di ventidue professori di diritto tributario, che sono emersi “fatti eclatanti” che mettono in luce un “quadro preoccupante per l’università italiana” aggravato dal fatto che “quello universitario è un mondo suscettibile e capace di grandi difese corporative”.

Per fronteggiare i fenomeni di degrado del costume se non della legalità la proposta dell’Anac è quella di puntare sulla prevenzione (“Ci segnalano, soprattutto, conflitti di interesse che interverrebbero nelle scelte, nei giudizi, nelle promozioni”) affidando a un non accademico il compito di “vigilare sulle incompatibilità, ovviamente sui concorsi, soprattutto sugli incarichi professionali esterni e sulle consulenze”. Compito delicato e impegnativo anche perché non ben definito nei suoi contenuti e limiti. Potenzialmente qualunque membro di qualunque commissione (per l’Abilitazione nazionale, per i concorsi, per attività che comportino valutazione) che abbia un minimo di notorietà e di autorevolezza potrebbe essere destinatario di rilievi che riguardano il conflitto di interessi (per aver collaborato a progetti, magari per aver scritto articoli o anche solo una recensione…), e non convince un’altra idea di Cantone, quella di inserire nelle commissioni “una personalità esterna al mondo accademico”.

L’esempio che fa desta qualche preoccupazione. “Non conosco una categoria più gelosa delle proprie libertà dei magistrati, eppure nelle commissioni di concorso in magistratura ci sono proprio i docenti universitari”, dice il presidente dell’Anac. Significa che in quelle che riguardano i docenti universitari dovrebbero esserci dei magistrati? E che comunque servono più regole?

A questo proposito sembra ragionevole quanto ha scritto il fisico Carlo Rovelli (che da anni vive e insegna all’estero) in un brillante articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 29 settembre: all’università italiana, che “è, e resta, una delle migliori del mondo”, perché “custodisce competenze uniche, che non esistono altrove, continua ad educare una delle popolazioni più colte, intellettualmente brillanti e vivaci del pianeta”, servono più risorse e più fiducia, mentre sarebbe sbagliato “aggiungere regole, moltiplicare automatismi e vincoli, togliendo responsabilità e fiducia a chi decide, come se l’eccellenza fosse qualcosa che si potesse riconoscere con algoritmi”.

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