C’era una volta la pedagogia progressista

Con queste parole comincia una riflessione di Roberto Maragliano, docente di Tecnologie dell’Istruzione e dell’Apprendimento presso l’Università Roma Tre, e autorevole esponente del pensiero pedagogico politicamente vicino alla sinistra storica (lungo la linea PCI-PDS-DS-PD), pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista telematica diretta da Luigi Berlinguer Educationduepuntozero.

C’era una volta, “or non c’è più”, dice quasi alla lettera lo studioso, echeggiando una nota canzone: “Oggi, quella cultura è silente, afasica“, non riesce a rispondere all’attuale predominio del  pensiero “regressista”, “non guarda più al futuro con speranza, ma volge il suo sguardo al passato, rimpiangendolo; e si tratta di quel passato che la cultura progressista aveva messo fortemente in discussione”, mentre oggi sembra esserne quasi succube. Come mai?

Maragliano, che non condivide questa involuzione “regressista” della pedagogia orientata a sinistra, critica la teoria che attribuisce la crisi del pensiero progressista classico a cause esterne, e in particolare alla grande pressione, soprattutto mediatica, esercitata delle forze politiche moderate sull’opinione pubblica, basata su “rappresentazioni fortemente semplificate dello scenario scolastico (del tipo ‘si ridia serietà agli studi’)”.

L’origine della crisi andrebbe cercata invece all’interno della stessa cultura progressista, che non ha saputo fare “seriamente i conti con la modernità, tantomeno con ciò che comunemente si intende per postmodernità“, e non è riuscita a “comporre le sue due anime, quella primaria e quella secondaria, permettendo che l’una scivolasse nel populismo e l’altra nel licealismo“: due modi di sottrarsi al compito di misurarsi “con i nuovi e sempre più pervasivi regimi della comunicazione“, sostiene Maragliano, che da tempo proprio di questo tema si occupa come ricercatore e docente universitario.
Scegliere la prima via, e “aspettare che giri il vento (se mai questo avverrà)”, vorrebbe dire mettersi fuori gioco, e in qualche modo idealizzare il passato, rinunciando ad impegnarsi in una battaglia che guarda invece al futuro, al nuovo, come la pedagogia progressista “di una volta” sapeva fare.