
Il referendum ‘made in Bologna’ sul finanziamento comunale alle scuole materne paritarie potrebbe diventare un “modello esportabile”. È quanto afferma Francesca De Benedetti, portavoce del Nuovo comitato articolo 33, dichiarando che altri gruppi di cittadini sono interessati a replicare l’iniziativa, in particolare a Parma, Modena e Milano.
Il modello referendario non piace però all’Agesc (Associazione Genitori Scuole Cattoliche), la cui presidente provinciale Maria Maddalena Faccioli sostiene che “con questa iniziativa si intende negare il diritto primario delle famiglie di poter scegliere liberamente la scuola per i propri figli. Infatti, viene ignorato quanto garantito dalla Costituzione e sancito dalla Legge dello Stato n 62/2000, che equipara la scuola statale e quella paritaria (a gestione privata o comunale), definendo idue tipi di scuola ‘i pilastri del servizio pubblico’”’.
“Si vuole cancellare una presenza delle scuole paritarie per l’infanzia (gestite da enti no profit) che a Bologna – rileva la Faccioli – garantiscono il servizio a oltre 1.700 bambini (il 21% dell’utenza complessiva). Le Convenzioni tra il Comune di Bologna e le scuole paritarie dell’infanzia, in essere fin dal 1994, garantiscono un contributo annuale per bambino di 600 euro, a fronte di un costo annuo sostenuto dal Comune per ogni bambino della scuola dell’infanzia comunale pari a 6.900 euro. Pertanto, grazie al sostegno alle scuole paritarie, il Comune di Bologna risparmia annualmente circa 10 milioni di euro, una cifra tanto più significativa in un periodo di spending review. I promotori del referendum perseguono, invece, la logica inversa, che comporta più costi per il Comune e, di conseguenza, più tasse per tutti i cittadini”.
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