Benedetto Vertecchi: essenziale spendere meglio

Credo che le proposte di Tuttoscuola vadano nella giusta direzione. Quel che occorre, infatti, è riaprire il confronto sul merito del funzionamento della scuola, ossia sugli scenari che si stanno profilando, sui nuovi compiti che l’attendono, sui modi per far fronte a una domanda sociale in rapida trasformazione. Ciò non vuol dire, ovviamente, che si debba giurare sulle singoli indicazioni fornite. Si rischierebbe di ricadere nella presunzione di adeguatezza delle conoscenze occorrenti per operare scelte di lungo periodo che non è l’ultima causa del pantano in cui il sistema educativo rischia di sprofondare. Mi limito a citare due esempi:

si sostiene che l’autonomia deve essere accresciuta e valorizzata. Bene. Ma di che autonomia si tratta? Finora se ne sono viste tracce nella gestione delle scuole, e non so se si sia trattato sempre di tracce positive. Ma l’autonomia che fa l’educazione è prima di tutto, e non può essere altrimenti, un’autonomia nelle scelte culturali. Che cosa si è fatto per promuoverla? E, allo stato delle cose, siamo sicuri che sussistano le condizioni per intraprendere il cammino che sarebbe necessario? Può darsi che in un grande paese, com’è l’Italia, vi siano tesori nascosti, ma quel che è certo è che non si è fatto nulla per farli emergere e, ancor meno, per produrre nuove interpretazioni. Non vedo, in queste condizioni, un futuro promettente né per l’autonomia, né per quanto a essa si collega, in primis la valutazione del sistema educativo;

uno dei punti menzionati riguarda l’uso di risorse tecnologiche. Nulla da obiettare sul fatto che la tecnologia tenda a modificare sostanzialmente le condizioni dell’interazione sociale, e quindi anche di quella educativa. Ma che cosa c’è di sufficientemente definito per avanzare proposte su singole soluzioni o, addirittura, su singole strumentazioni? Dove sono i dati che dimostrino la loro efficacia? Si parla tanto di revisione della spesa (mi si perdoni se preferisco l’italiano alle saccenti espressioni in inglese che mi ricordano il latinorum di Renzo), ma si è considerato che si investono i pochi soldi a disposizione per dotazioni che, bene che vada, resistono meno del tempo necessario a una leva di allievi per percorrere un certo tratto di percorso educativo? E qualcuno si è chiesto se quei soldi non sarebbero meglio spesi per ripristinare, quando c’erano, o creare, se non ci sono mai stati, nelle scuole laboratori nei quali compiere esperienze reali? Oppure, per rilanciare le biblioteche scolastiche, come strumento per affermare la centralità della lettura e la comprensione del testo nei processi di comunicazione culturale?

È giunto il momento, e le proposte di Tuttoscuola sono benvenute per il contributo che danno a riavviare la riflessione, di superare la simulazione di efficienza che ha portato a disgregare tempi, modi e contenuti dell’educazione scolastica. Se è così, aggiungerei ai sei considerati un settimo punto: evitare il senso comune e misurarsi con le contraddizioni. In altre parole, incoraggiare chiunque sia interessato al funzionamento della scuola, o abbia qualche responsabilità nel suo funzionamento, a studiare.

*Docente di Pedagogia sperimentale – Università di Roma 3