Aprea: un’occasione sfumata

Sul Ddl approvato dalla Commisssione Cultura e Istruzione della Camera prende posizione Valentina Aprea, già presidente della stessa Commissione nella scorsa legislatura e attualmente impegnata come Assessore all’istruzione, formazione e lavoro della Regione Lombardia. Pubblichiamo la prima parte dell’ampia intervista che Aprea ha rilasciato a Tuttoscuola. Nel corso della giornata pubblicheremo anche la seconda parte di ulteriore approfondimento.

Che giudizio complessivo dà sul Disegno di legge approvato dalla commissione Cultura e Istruzione della Camera?

“Il documento programmatico del Governo, cosiddetto “La Buona Scuola”, sembrava inizialmente voler ripartire dalle riforme liberali proposte dal centrodestra. Avevamo condiviso parole quali merito, carriera, valutazione, premialità, apertura al territorio e, soprattutto, apprendistato e  raccordo con le imprese, che appartengono alla cultura di Forza Italia e sono entrate nel vocabolario del premier. Credo che questi siano alcuni tra i pilastri significativi per ricostruire un sistema scolastico moderno ed efficace.

Nella Commissione VII della Camera dei Deputati, il ddl ha mitigato molte delle proposte più avanzate. L’esempio più lampante è quello del ruolo del dirigente scolastico: si è preferito tornare alla logica collegiale, che ha mostrato ormai da decenni tutta la sua inefficacia e che contrasta con quello che le scuole autonome sarebbero chiamate a fare in attuazione di recenti norme (ad esempio, i Poli Tecnico Professionali o le Fondazioni per gli ITS) .

E’ mancata la capacità di introdurre una nuova “governance” nella scuola che superasse gli evidenti limiti di una gestione basata sul formalismo e sul controllo delle procedure piuttosto che sui risultati. Sembra quindi sfumata un’altra  preziosa occasione per la realtà scolastica italiana di dotarsi di un modello organizzativo più innovativo e adatto ai tempi, come invece è  avvenuto nella sanità pubblica.

Con il procedere dell’iter parlamentare, nel disegno di legge  prevale l’ennesima operazione di stabilizzazione del personale, la più grande ope legis mai attuata, perdendo al contrario la capacità di visione che si auspicava all’indomani della presentazione del piano della Buona Scuola.

Restano un paio di interventi significativi, quali il maggior raccordo tra scuola e imprese, con il rafforzamento  dell’alternanza scuola lavoro, introdotta con la Legge 53/2003 (riforma Moratti) e l’introduzione degli albi territoriali per la scelta dei docenti, ancorché limitata a docenti già di ruolo e su posti di organico funzionale,  sempre che anche su questo aspetto le modifiche richieste ripetutamente dai sindacati e preannunciate al Senato non vedano ulteriori passi indietro”.

Ci sono aspetti che possono essere collegati alla proposta messa a punto dalla stessa commissione nella scorsa legislatura, quando lei la presiedeva?

“Inizialmente sì, ma si riducono ogni giorno che passa.

Ad esempio, l’articolo 21 prevedeva una delega per la riforma del governo della scuola. Tra i criteri vi era anche l’adozione da parte di ciascuna istituzione scolastica di un proprio statuto, quale strumento di autogoverno.

Questo era anche uno dei capisaldi della mia proposta di legge, passaggio necessario per giungere ad una vera autonomia. Peccato che il testo finale licenziato dalla Commissione Istruzione della Camera abbia stralciato il punto e con esso la delega a rivedere gli organi collegiali delle scuole degli anni ‘70.

Vi sono inoltre alcune analogie con la mia proposta di legge (A.C. 953/2008) nel dare alla scuola, come ho appena evidenziato un ruolo nella scelta del proprio personale, ma con una differenza importante: noi proponevamo l’iscrizione dei docenti nell’albo regionale a seguito di abilitazione e la successiva assunzione con concorso organizzato direttamente dalle reti di scuole. Invece oggi si propone il mantenimento del concorsone nazionale (fallimentare e inadeguato a garantire la selezione dei docenti delle scuole autonome e sempre a rischio di contenzioso, vedi gli ultimi concorsi per la selezione dei dirigenti scolastici), l’assunzione in ruolo e poi l’inserimento nell’albo da cui le scuole attingeranno, con la proposta di incarichi o su autocandidatura dei docenti. Personalmente credo che le modalità previste dall’attuale ddl siano farraginose e creeranno situazioni paradossali, con alcuni docenti assunti che non riceveranno incarichi dalle scuole o altri che dovranno optare tra molte offerte, tanto per fare qualche esempio. Per non parlare poi del rischio, anche in questo caso, di ricorsi amministrativi che il Governo dovrà già mettere in conto se il testo resta questo licenziato dalla Commissione.

Manca inoltre, nel ddl di Renzi, una differenziazione delle carriere dei docenti, un ruolo di indirizzo di un consiglio di amministrazione aperto ai soggetti esterni, un consiglio tecnico-scientifico per curvare i piani di studio ai bisogni formativi degli studenti e del territorio,  organismi tecnici di rappresentanza nazionale e regionale delle autonomie scolastiche, coerentemente alla mancanza di coraggio per raggiungere la piena autonomia. Insomma, è mancata una visione dell’organizzazione dell’istituzione scolastica maggiormente rispettosa della cultura della sussidiarietà che rimanda a logiche orizzontali e policentriche”.

Uno dei punti più discussi (ed emendati rispetto alla stesura originale del Ddl) è quello che riguarda il dirigente scolastico. Le sembra che la soluzione adottata soddisfi l’esigenza di non farne un “uomo solo al comando” o finisca per impedirgli di gestire l’offerta formativa in modo davvero innovativo?

“Il Governo è rimasto intrappolato in un falso dilemma, quello di dover scegliere tra un “dirigente scolastico sceriffo” e la collegialità degli anni ’70.

Il punto invece è che la scuola ha bisogno di una leadership distribuita, con chiari e distinti livelli di responsabilità. La questione da porre non riguarda tanto il potere dirigente scolastico, quanto come dotare la scuola della migliore governance per renderla efficiente, a partire dalla individuazione di livelli organizzativi e di ricerca intermedi e dalla differenziazione di ruoli e carriere. Il dirigente deve avere la responsabilità nella gestione di risorse umane, strumentali e finanziarie di una scuola dell’autonomia, mentre altri organi devono avere la responsabilità di ricerca, di didattica, progettuale e di relazioni con il territorio.

Così come si tratta di contemperare i diversi poteri con un sistema di controllo e di valutazione dei risultati. Si tratterebbe semplicemente di applicare la razionalità organizzativa anche al mondo scolastico”.

 

Nella seconda parte dell’intervista si parla, tra l’altro, di sindacati e di stabilizzazione del personale precario. Seguite gli aggiornamenti del sito.