Aprea: il Pd non giochi sulla pelle della scuola

E’ preoccupata Valentina Aprea, Assessore a Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia, per la piega che sta prendendo il dibattito politico e parlamentare sul Disegno di legge della Buona Scuola. Alla vigilia delle decisive votazioni al Senato si rincorrono le voci su possibili ulteriori mediazioni in casa Pd sui passaggi più delicati provvedimento, quelli sui quali la sinistra del partito ha intimato al segretario Renzi (prima ancora che al premier Renzi) una sorta di ultimatum minacciando, in caso di mancato accoglimento delle modifiche richieste, di non votare a favore della legge.

Sul Ddl sono già avvenute alcune mediazioni alla Camera, e altre se ne annunciano al Senato. Il testo non sembra blindato. Pensa che dal dibattito parlamentare potrebbero scaturire novità positive o che il trend sia verso mediazioni al ribasso, di segno conservatore?

La cosa più preoccupante è il fatto che il Parlamento è tagliato fuori da questa dialettica. Gli accordi si fanno al Nazareno, e poi vengono fatti rispettare in Commissione e in Aula manu militari. Un vero sgarbo sul piano istituzionale, con inevitabili conseguenze politiche. A differenza di quanto accadeva nella scorsa legislatura non sembrano esserci spazi per cercare convergenze su una materia, come quella della scuola, che è pure di rilevante interesse nazionale.

Insomma dal suo punto di vista il Ddl potrebbe anche peggiorare. Su quali punti?

Intanto un peggioramento c’è stato già nel passaggio alla Camera. Rispetto al testo iniziale, quello varato dal Consiglio dei ministri, è stato fatto un passo indietro sull’autonomia delle scuole: anziché andare avanti in direzione di una governance locale più forte e più responsabile si è tornati indietro alle vaghezze partecipative dei Decreti delegati degli anni settanta dello scorso secolo.

Torniamo così indietro?

E come interpretare il ritorno alla filosofia partecipativa su materie importanti come l’elaborazione del POF o la premialità dei docenti? Materie sottratte al dirigente scolastico, che così non potrà essere chiamato a rispondere per le sue scelte. Un passo indietro anche rispetto al DPR 275 del 1999, per non parlare della riforma costituzionale del 2001 (peraltro imposta dalla sinistra…) e di quanto dice il Titolo V proprio in merito all’autonomia delle scuole. Scuole, al plurale, a sottolineare la responsabilità di ciascuna. Che così tornerà a svanire in una indistinta e generica responsabilità di tutte.

Però la cultura della valutazione ha fatto passi avanti, e riguarderà anche la qualità del servizio fornito dalle scuole e dai suoi protagonisti, dirigenti e docenti.

Per i dirigenti ho già detto: se le loro decisioni devono essere condivise e ‘partecipate’, come se ne può valutare l’efficacia? E che valore può avere la valutazione dei docenti fatta dai loro colleghi? Anche l’autovalutazione di istituto, affidata in pratica agli stessi insegnanti, rischia di trasformarsi in autoassoluzione. E la valutazione esterna nelle attuali condizioni di carenza di ispettori e di difficoltà operative dell’Invalsi rischia di restare al palo. Insomma senza una vera autonomia e senza l’individuazione di responsabilità individuali, a partire da quella del dirigente, non ci sarà modo di riconoscere e incentivare la qualità e il merito.

Comunque i dirigenti potranno scegliere i docenti, almeno da questo punto di vista assumeranno una responsabilità

Ma la loro scelta sarà obbligata: intanto dovranno attingere da elenchi di personale già assunto, già di ruolo, anche se assegnati a un territorio. Ora non ci sono neanche più gli ‘Albi’, che almeno facevano riferimento a una condizione professionale. Sono stati sostituiti dagli ‘ambiti’, un luogo burocratico nel quale magari ricompariranno graduatorie e precedenze. In queste condizioni il dirigente rischia di essere condizionato nella scelta, e magari farà quella che gli fa correre meno rischi, non quella che risponde meglio alle esigenze della sua scuola.

Non vede nessuno spiraglio per cercare di fare meglio, magari dialogando con i settori della maggioranza più disponibili a fare scelte innovative?

Si sarebbe potuto ragionare, come era sembrato possibile tra la fine della scorsa legislatura e l’inizio di questa, su nuove modalità di reclutamento, con concorsi e colloqui gestiti da reti di scuole riservati a docenti abilitati e adeguatamente formati dalle università. Invece si va da una parte verso l’assunzione in massa di 100.000 precari senza alcun filtro né formazione, neanche per chi nella scuola non ha mai messo piede, e dall’altra verso farraginosi percorsi di apprendistato triennale con valutazione finale per decine di migliaia di neoabilitati più giovani, più motivati e più qualificati, come quelli usciti dai TFA. Percorsi dai quali sono peraltro escluse le scuole paritarie, in spregio alla legge 62/2000 sulla parità.

A proposito di parità, un altro punto politicamente delicato è quello delle detrazioni per le famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie. La soluzione dei 400 euro le sembra adeguata?

L’unica cosa positiva che ha fatto la Camera è stata quella di estendere la misura, anche se poco più che simbolica, alla scuola secondaria superiore, ma ora il Senato potrebbe tornare indietro anche su questo punto: è uno dei prezzi che la minoranza antirenziana del Pd chiede per evitare il ‘Vietnam’, come qualcuno di loro ha detto. Se Renzi cederà anche su questo, la sua Buona Scuola dovrà cambiare nome. Propongo ‘Vecchia Scuola’.