Suor Anna Monia Alfieri, Presidente di Fidae Lombardia, si è laureata in Giurisprudenza e in Economia nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È legale rappresentante dell’ente Casa Religiosa Istituto di cultura e di lingue Marcelline, e dal 2008 collabora con la Divisione Enti non Profit di Altis (Alta Scuola Impresa e Società) dell’Università Cattolica di Milano, per l’organizzazione dei corsi di Alta Formazione (in management e alta dirigenza scolastica) per gli Istituti Religiosi e per la docenza negli stessi. Dal 2013 è membro e coordinatore del Tavolo Permanente sulla Parità presso l’Assessorato Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia e sempre dal 2013 membro del Gruppo di studio nazionale sulla Parità scolastica, presso la I Commissione Permanente Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.
L’abbiamo incontrata alla fine della sua ‘due giorni’ romana, che l’ha vista impegnata come relatrice in due convegni nazionali, quello promosso il 1° aprile dall’on.le Elena Centemero nella Sala del Refettorio della Camera e quello organizzato il giorno dopo dalla Filins – Federazione italiana licei linguistici e istituti non statali – sempre con la presenza della parlamentare, che in qualche modo si è proposta, insieme al sottosegretario Toccafondi come punto di riferimento politico per il mondo delle scuole paritarie, di ispirazione religiose o laica, accomunate da gravi difficoltà economiche. In entrambi i convegni si è parlato del costo standard per alunno, riferito all’insieme degli alunni della scuola statale e paritaria, come di uno strumento che potrebbe favorire una più equilibrata e più equa distribuzione delle risorse. E a parlarne con più impegno e fiducia, in entrambe le occasioni, è stata suor Anna Monia Alfieri. Par questo la prima domanda che le rivolgiamo è la seguente:
Ci dà una sua sintetica definizione del concetto di costo standard?
In estrema sintesi: il costo standard viene definito in base a predefiniti livelli di efficienza e di prezzo in relazione a determinate condizioni operative in uno specifico lasso temporale.
Mentre il costo effettivo rappresenta gli oneri realmente sostenuti per la produzione di un bene/servizio. Il delta fra i due costi che vede il secondo superiore al primo è determinato dall’arco temporale che vede collocato il costo standard a monte (in una fase progettuale) e il costo effettivo a valle (in una fase ove solo la presa d’atto è consentita). Individuare il costo standard implica avere necessariamente presente la specificità della realtà scolastica che mal si presta a letture preconfezionate. I presupposti economico-gestionali sono:
Il costo standard giunge a definire quali sono le risorse economiche ed umane impiegate annualmente per la formazione dei nostri studenti, è una voce di spesa e di investimento che permette di liberare risorse e soprattutto è uno strumento per realizzare la libertà di scelta educativa, l’anello mancante per arrivare ad una scuola veramente autonoma, libera e paritaria.
Parlare di costo standard significa trasparenza: quale è il costo medio di un alunno di scuola statale? E per la scuola paritaria? Attraverso il costo standard, dunque, si può puntare alla proporzione tra i costi sostenuti e la qualità e quantità dei servizi erogati agli alunni.
L’accesso al finanziamento sarebbe automatico o legato alla qualità dell’offerta educativa, e in questo secondo caso chi valuterebbe la qualità delle scuole?
In realtà considero il costo standard l’ ”anello mancante” per compiere il doveroso passaggio dal riconoscimento del diritto alla garanzia dell’esercizio del diritto alla libertà di scelta educativa della famiglia (art. 30 Cost.) in un pluralismo educativo (art. 33 Cost.). A supporto e completamento di ciò è necessario valorizzare l’autonomia delle scuole per incentivare la qualità e la ricchezza della diversità. La differenza sarà principalmente nell’identità di ciascuna scuola che sarà l’oggetto della scelta della famiglia. Quest’ultima sceglierà sulla base dell’identità e dell’offerta formativa riconosciute più conformi alla propria linea educativa. Tale autonomia implica che lo Stato passi da soggetto gestore a soggetto garante del sistema scolastico nazionale. Decadrà l’inutile contrapposizione fra scuola pubblica, paritaria e statale, e sarà completata la L. 62/2000, nata monca, poiché non ha previsto che se pluralismo educativo deve essere, nulla la famiglia deve in fase di scelta. Pertanto la logica conseguenza sarà che la qualità della scuola sarà valutata dalla famiglia in fase di scelta, tenendo conto delle doverose valutazioni interne ed esterne all’Istituzione scolastica.
In che cosa si distingue il costo standard dal buono studio nell’accezione liberistica di Milton Friedman, riproposta in Italia da Dario Antiseri?
Una premessa. Le ragioni sottese al buono scuola proposto da Friedman e Antiseri: a) un sistema di finanziamento degli istituti d’istruzione basato sulle preferenze dal basso, nella convinzione – sacrosanta – che i genitori sappiano meglio di chiunque altro qual è la scuola migliore cui affidare i loro figli; b) la scuola pubblica un grande patrimonio del nostro Stato che va salvaguardato dallo statalismo (che genera burocrazia e inefficienza) e rafforzato grazie all’affermazione di meccanismi di reale competizione tra scuola pubblica e privata e tra scuole e scuole, queste ragioni sono le medesime che giustificano il costo standard: garantire la libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo.
Il costo standard viene prima del buono scuola e cioè quantifica il buono scuola assegnato alla famiglia affinché possa esercitare il sacrosanto diritto che dal 1948 ad oggi attende.
Individuato il costo standard si potrà decidere quale strumento adottare per garantire l’esercizio dei due diritti (libertà di scelta educativa e libertà di insegnamento alias pluralismo educativo): buono scuola, quota capitaria. Per anni ci siamo divisi sullo strumento, che ci ha allontanati dal cuore della quaestio. Credo che oggi il sistema scolastico italiano sia ad una svolta, abbiamo dichiarato quale è l’anello mancante, auguriamoci che non sia l’ennesima occasione persa ritrovandoci al punto zero. Ora possiamo solo proseguire, unanime è stata la voce che si è levata il 1° aprile da tutte le parti presenti (esperti, Associazioni dei genitori, gestori, docenti, Istituzioni).
Che cosa si aspetta dal ministro Giannini?
Avendo letto e condividendo le sue dichiarazioni mi aspetto in buona sostanza due passaggi.
Il primo: la politica del non fare. “Non avviare nuove riforme”. Il ministro ha annunciato innanzitutto di rinunciare a firmare un’altra riforma dell’istruzione: “Resisterò alla tentazione di un’ipertrofia normativa”. Il diritto alla libertà di scelta educativa in capo alla famiglia è già ampiamente riconosciuto dagli art. 30 della Costituzione e dalla Risoluzione UE del 2012, nell’ambito di un pluralismo educativo sancito dall’art. 33 della Costituzione e dalla Risoluzione UE del 1984. Il sistema giuridico è già completo, risultano indispensabili ormai azioni concrete che segnino il passaggio alla garanzia dell’esercizio. Sarebbe necessario un Testo Unico che elimini tutte le sovrapposizioni e le contraddizioni.
Secondo passaggio: “Considerare le spese per l’istruzione non come costi ma come investimenti in capitale umano”. Investire in capitale umano significa avere a cuore il futuro dell’Italia. Investire significa a) rendersi conto dei bisogni, b) avere consapevolezza delle risorse attuali, c) considerare i benefici maggiori in rapporto al margine di rischio, d) azzerare gli sprechi, o costi cattivi, in vista dell’investimento. Ricordiamo che l’Italia è il paese che spende di più e peggio in Europa. La causa principale? Carenza di educazione, formazione, cultura. Ed è qui che si inserisce la chiave di volta fra i principi sopra enunciati e gli aspetti concreti che ne seguiranno. Affinché l’intuizione di queste dichiarazioni non sia l’ennesima occasione persa, fagocitata da altri interessi che allontanano da una posizione così chiara e lucida, l’unico passaggio di fatto che la storia ci suggerisce è: 1) si individui il costo standard dell’allievo nelle forme che si riterranno più adatte al sistema italiano, 2) si dia alla famiglia la possibilità di scegliere fra buona scuola pubblica statale e buona scuola pubblica paritaria. Risultato: 1) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato; 2) innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un Servizio Nazionale di Istruzione d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini, 3) valorizzazione dei docenti e riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società, 4) abbassamento dei costi e destinazione di ciò che era sprecato ad altri scopi.
Si innesca cosi un circolo virtuoso che rompe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il Welfare non può sostenere altri costi; non a caso il Principio di Sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica è anzitutto un principio economico prioritario. Europa docet. A questo punto, liberate le risorse, si potrà investire nella valorizzazione e valutazione, nell’innovazione e sviluppo.
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