Abbiamo bisogno di supereroi?

Certo che questo è uno strano paese. Lascia affondare le sue migliori cose in un mare di scontata indifferenza, come se tutto fosse normale, dovuto, acquisito una volta e, per inerzia, posseduto per sempre. Posseduto, non custodito.

Per fermarsi e riscoprire il valore di ciò che ha, gli serve il gesto eccezionale, eroico. E così è scontato ad esempio avere ospedali che aprono le loro porte a tutti ma, per rendersi conto di quanto questo valga, serve l’immagine dell’infermiere col volto segnato dalla mascherina o il medico seduto, stremato, su una panchina.

Si è smarrita la poesia del lavoro quotidiano, quello che costruisce in silenzio ed è pago del suo stesso valore.
Forse è per questo che la scuola conta così poco, perché è per antonomasia il luogo dei piccoli passi, del lavoro di chi semina e non si cura del tempo del raccolto.

Eppure in questo momento quanto le si chiede: è trasformata in un cantiere costante, in una sorta di ospedale da campo, retta soltanto dal lavoro di chi la vive e dalla gioia di chi la abita.

Dal mattino presto a sera inoltrata si susseguono piccoli e grandi emergenze che vanno immediatamente affrontate: prima tra tutte, lo stillicidio delle assenze del personale e il suo impatto devastante sulla qualità degli interventi e sulla gestione del quotidiano; e poi l’alternarsi di classi in presenza e in DaD, perché gli istituti questo stanno facendo, reggono due modelli di scuola contemporaneamente, impegnando le proprie risorse su due fronti; per non parlare poi delle segnalazioni sanitarie e dei contatti con l’ATS che risponde e interagisce con tempi e ritmi assurdi per un periodo di pandemia, evidentemente schiacciata da un peso gestionale che non è in grado di reggere, mentre pare ormai inattuabile qualsiasi tentativo di creare nelle scuole un sistema di tracciabilità dei contagi; e questo dopo aver vissuto le prime settimane nell’attesa del completamento delle cattedre, che sarebbe stato auspicabile fosse avvenuto in tempi se non adeguati, almeno non vergognosi.

In questo scenario i dirigenti, loro malgrado, sono promossi sul campo per essere contemporaneamente referenti ATS, consulenti sanitari per famiglie disorientate, esperti in progettazioni di ambienti didattici alternativi, controllori del rispetto delle norme igienico sanitarie; i docenti si dividono invece tra coloro che riescono a rimanere strutturati, ancorati al proprio lavoro cercando comunque il modo per esserci in modo significativo, efficace, e coloro che più semplicemente si accontentano di restare a galla con il minimo sforzo in una sorta di mare in burrasca che finirà col calmarsi, prima o poi.

E proprio ora che il paese di nuovo si ferma, la scuola e i suoi insegnanti ogni giorno rimangono lì, esposti a tutti i rischi di contatti e assembramenti, impegnati a mantenere un distanziamento difficile e, per alcune fasce di età, impossibile da garantire.

C’è da chiedersi se l’acquisto di arredi fosse davvero la priorità, se sia stato il modo migliore per proteggerla questa scuola, in un momento nel quale le difficoltà esterne la obbligano ad occuparsi costantemente di molto altro rispetto alla sua unica ragione d’essere, accompagnare gli studenti nel loro processo di crescita. Sono state forzatamente sovvertite le priorità e l’emergenza rischia di soffocare, nella scuola, il bello di ogni giorno.

Non saranno gli eroi a salvarla, lo farà da sola. Come sempre.