Oltre il precariato?

Il punto interrogativo è inevitabile. All’argomento (senza il punto interrogativo) è dedicato il Quaderno n. 6/Interventi dell’associazione “Treellle”, presieduta da Attilio Oliva, già responsabile di Confindustria per l’Education negli anni novanta. Il Quaderno riproduce le proposte di Treellle, già presentate in un precedente Quaderno, e il testo di alcuni interventi pronunciati in occasione di un dibattito sulle stesse proposte, tenutosi nel mese di dicembre 2006, con la partecipazione del ministro dell’istruzione Fioroni.

I contributi contenuti nel Quaderno, per la verità, non inducono all’ottimismo. Solo il ministro Fioroni, che proprio in quei giorni aveva ottenuto di inserire nella legge finanziaria 2007 la chiusura delle graduatorie permanenti a partire dal 2010 (a fronte dell’immissione in ruolo di 150.000 precari), si è azzardato a dichiarare “archiviato” il meccanismo di reclutamento fondato sullo scorrimento di dette graduatorie.
Il segretario generale aggiunto della CISL, Pier Paolo Barretta, ha infatti subito rimesso in discussione la data del 2010, definita come “un termine che taglia un processo che non può essere tagliato”; Beniamino Brocca (UDC) e Carlo Dell’Aringa, già presidente dell’ARAN, hanno messo l’accento sulla gravità della condizione di provvisorietà in cui si trovano i precari, ma hanno previsto tempi lunghi per la soluzione del problema.

La stessa Clotilde Pontecorvo, già direttore della SSIS del Lazio, “d’accordissimo sulla necessità di eliminare il precariato”, prevede che nei prossimi anni “non sarà facile far entrare di ruolo nuovi insegnanti”.
Solo il rappresentante dell’OCSE, Paulo Santiago, ha provato a mettere l’accento sul fatto che tutti gli insegnanti, precari o meno, dovrebbero essere selezionati e valutati periodicamente (“ogni 5-7 anni”) per “rinnovare le loro certificazioni”, e che le scuole dovrebbero avere una primaria responsabilità nel reclutamento e nello sviluppo professionale dei docenti.
In un certo senso dovrebbero essere gli insegnanti di ruolo a diventare un po’ più “precari”, nel senso di più mobili sul piano professionale, e non i “precari” a diventare statici e professionalmente ingessati come certi loro colleghi di ruolo. Ma l’esperto dell’OCSE parlava in astratto, e comunque di un altro mondo, dal quale l’Italia è molto lontana.